giovedì 14 dicembre 2017

John Mellencamp, Sad clowns & hillbillies



Con la paziente metodicità che lo contraddistingue in questa parte della carriera, a tre anni dal precedente Plain spoken  (e a quarantuno dal debutto Chestnut street incident), John Mellencamp rilascia il suo ventitreesimo lavoro di studio.

E Sad clowns and hillbillies è un disco particolare, un grande fiume placido alimentato da tanti affluenti diversi, con canzoni che riemergono da cassetti dove erano state riposte da tempo (Sugar hill mountain, scritta per la colonna sonora del film Ithaca - diretto da Meg Ryan, ex del Coguaro - ; What kind of man I am e You are blind - rispettivamente di Kris Kristofferson e Ryan Bingham - già contenute nel soundtrack del musical Ghost brothers of darkland country; All night talk radio, outtakes di Mr Happy go luck del 1996), collaborazioni low profile, come quella con la country singer Carlene Carter (figlia di prime nozze di June Carter e quindi discendente della gloriosa Carter Family) della quale Mellencamp si deve essere artisticamente innamorato, visto che l'ha voluta ad aprire tutte le date del tour precedente e che duetta con lui su ben cinque tracce delle tredici previste; contributi inaspettati, come per Grandview, pezzo del repertorio del cugino di John, artista minore di una band dell'Indiana.

Detta così l'album potrebbe apparire come una scatola contenente tessere di diversi puzzle che non hanno possibilità di armonizzarsi. In realtà il risultato finale è un'opera 100% mellencampiana, che musicalmente riserva è vero, poche novità, ma che nasconde dietro il suo andamento pigro tipicamente del sud americano, una grande anima sociale e introspettiva, cifra autoriale consolidata dell’artista.
Come un vecchio ma affascinate pick-up diesel, il disco parte in maniera lenta, quasi svogliata, ma, raggiunto il numero giusto di giri, tiene la strada che è una meraviglia mettendo il passeggero nella condizione più agevole per intraprendere un viaggio suggestivo e affascinate che raggiunge luoghi malinconici (Mobile blue; Battle of angels), concede accelerate da vecchio Coguaro (All night talk radio e Grandview, featuring Martina Mc Bride), scorci per innamorati (Indigo sunset), soste dai sapori speziati nella migliore tradizione old time dixieland (Sugar Hills mountains e Sad clowns), e un finale che è un autentico colpo di coda, grazie al dittico composto da una poesia di Woodie Guthrie, messa in musica su espressa richiesta della figlia del più importante degli hillbillies, che diventa un magnifico spiritual (My soul’s got wings) e una Easy target, forse il mio pezzo preferito, in cui John incontra le atmosfere del Tom Waits periodo Blue Valentine.

Ad ascoltare quanta passione per la musica tradizionale americana Mellencamp riesca ancora a mettere nelle sue opere (questa è sicuramente da annoverare tra le migliori degli ultimi tre lustri), aumenta in maniera esponenziale l’amarezza per l’amore mai sbocciato tra il rocker dell’Indiana e l’Italia, certificato purtroppo dall'esito zoppicante dell'unico, attesissimo concerto in quel di Vigevano  (che comunque si è meritato una doppia recensione, qui e qui).  Se il messaggio è: fatevi abbastare i miei dischi, con lavori della qualità di Sad clowns & hillbillies ce la possiamo anche fare.

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