giovedì 16 novembre 2017

The Smiths, The queen is dead (1986)


Al mondo di certo non serve una nuova recensione di The queen is dead, degli Smiths, ma insomma, chi se ne fotte, questo disco è tornato prepotentemente ad appassionarmi e una traccia la voglio comunque lasciare. 
Quello che da molti è riconosciuto come l'apice creativo del gruppo, nasce in una fase di particolare tensione tra i membri della band, per una volta non causati dai dissidi del duo cardine (Morrissey/Marr), autore della pressochè totalità dei pezzi, ma dagli altri componenti (Rourke e Joyce), che rivendicano maggiore centralità (e, va da sè, ricavi economici) dal progetto.
Non è dato sapere quanto questi conflitti interni si siano poi riverberati nei lavori di registrazione, la certezza è invece il risultato finale: epocale. Dieci pezzi (ai quali andrebbero aggiunti le hit single Panic e Ask, non comprese nella tracklist per la nota filosofia sessantiana del frontman) che suonano come un instant greatest hits e che lasceranno una traccia indelebile sulla storia della musica pop inglese (e non).
Al netto del fascino dei pezzi più noti (Frankly mr. Shankly, Bigmouth strikes again, The boy with the thorn in his side), dell'inedita complessità e lunghezza dell'opener (The queen is dead), dell'eterea leggerezza della coda dell'album (There is a light that never goes out; some girls are bigger than others), che si manifesta attraverso uno spettro sonoro a cerchi concentrici perpetui, ad affascinarmi sono sempre stati i due pezzi più introspettivi, piazzati uno di seguito all'altro, modellati sui temi più classici dell'amore e dell'abbandono, che intrecciano modernità delle liriche e classicità del pathos. Mi riferisco ovviamente a I know it's over e Never had no one ever

The queen is dead cattura la quintessenza degli Smiths attraverso il raggiungimento del massimo zenith compositivo di Morrissey e Marr che, proprio un attimo prima di dire basta (il successivo Strangeways, here we come, sarà l'ultimo capitolo della storia della band), forgiano la loro immortalità.


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