venerdì 27 novembre 2015

Goatsnake, Black age blues


Anche se sono in giro da una ventina di anni, scopro solo ora i Goatsnake. Va bene, a mia scusante posso portare il fatto che la band, dopo la doppietta di album del 1999 e del 2000 abbia interrotto l'attività per riprenderla solo con la recente pubblicazione di questo Black age blues.
La spina dorsale del gruppo è costituita da due pezzi da novanta dell'indie che conta, il cantante Peter Stahl che, all'apice delle sue diverse esperienze è stato infatti il singer di quegli Scream nei quali ha militato anche Dave Grohl e il chitarrista Greg Anderson, altro irrequieto della musica più ostica, che ha misurato le sue capacità anche nei Sunn O))).
Non mi sarei mai imbattuto in questo disco se non avessi, negli ultimi tempi, ripreso a leggere riviste metal, e devo dire che sarebbe stato un vero peccato, perché il ritorno dei Goatsnake è autorevole e carismatico. A dispetto delle banalizzazioni utili a definire un sottogenere, il combo losangelino (nato dalle ceneri degli Obsessed) rende onore al titolo dell'album, proponendo un disco che del blues ha sicuramente le atmosfere, proposte però così come erano state rese dai primissimi album dei Black Sabbath, quelli perlappunto più impregnati della musica che ha dannato l'anima di Robert Johnson. Quindi sì, parliamo di doom della specie che prediligo, vale a dire riff cadenzati perfetti per un headbanging consapevole, come nella suggestiva opener Another river to cross.
Ma lo stile vocale di Stahl si apre ad altre suggestioni: molto nitida ad esempio è la sua similitudine con l'ugula di Ian Astbury dei Cult (provate la title track) e, come diretta conseguenza, a tratti emergono assonanze perfino con l'inconfondibile timbrica di Jim Morrison (Coffe and whiskey) che contribuisce a rompere gli argini con la psichedelia sixties.
Anche gli amanti del genere stoner possono avere il loro momento di gloria, grazie ad un'imperiosa Grandpa Jones, prima che il doom torni a reclamare lo scettro della cifra stilistica del disco con la conclusiva A Killing blues.
 
Insomma, un lavoro dove la componente retrò si coniuga alla perfezione con atmosfere profondamente sciamaniche, per un risultato impeccabile.

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