sabato 26 luglio 2014

Dave Alvin & Phil Alvin, Common Ground


All'epoca dei fatti non conoscevo nemmeno l'ABC della scena rock, figuriamoci se potessi sapere chi fossero i Blasters! Però in quel bel cinema di una sonnacchiosa provincia milanese One bad stud e Blue shadows contribuirono enormemente ad accendere una scintilla, quella per il rock and roll, che magari negli anni si è occasionalmente affievolita ma non si è mai spenta. I due brani erano compresi nella colonna sonora di Streets of fire (1985), film di Walter Hill nel quale la band dei fratelli Alvin, pur senza esplicitarlo, appariva in un cameo nel ruolo di se stessa.
Per motivazioni tanto particolari quanto noiose, quando ho cominciato la mia infinita corsa ad accaparrarmi dischi di svariati generi e artisti, non è con questo gruppo che ho iniziato a dissanguarmi, solo in un secondo momento, attraverso la meravigliosa antologia della Rhino, sono riuscito a sanare il debito di riconoscenza con gli Alvin. Permane invece  l'handicap di non essere mai riuscito a vederli dal vivo. 

Come spesso accade nei gruppi a conduzione familiare, gli split sono da attribuirsi alle tensioni tra fratelli e questa è stata, nel 1986, anche la ragione della fine dei Blasters. Successivamente, sebbene ci siano stati occasionali riavvicinamenti sfociati in occasionali tour celebrativi, i due non si sono più trovati nello stesso studio a registrare un intero album. Solo oggi, dopo che le rispettive carriere soliste hanno decisamente premiato Dave (una dozzina di lavori) più che Phil (due soli dischi a proprio nome) gli Alvin si sono ritrovati con questo Common Ground, assemblato per celebrare la musica di Big Bill Bronzy, bluesman  della prima metà del novecento che tanto ha influenzato la scena americana e inglese.
Anche se potrei non fare testo, l'esito è esaltante. Le due voci tornano ad inseguirsi ed alternarsi in una miscela di rock and roll, blues, pub rock e roots che dà il capogiro. Il suono è asciutto, il piano costituisce l'ossatura del sound, i riff di chitarra, prima nervosi poi saturati di quella pigrizia tipica del stati del sud, annientano ogni resistenza di chi, come me, si sente un pò orfano di quello che sapevano tirare fuori gli Alvin, coadiuvati dal leggendario e rimpianto Lee Allen al sax e da Gene Taylor al pianoforte.

La chiosa della recensione è scontata ma inevitabile: che questo riavvicinamento ci possa portare ad un ritorno (magari con materiale nuovo) dei Blasters? La speranza, da sempre segretamente coltivata, torna a prendere coraggio. 

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