Siccome al di fuori dai circuiti nazionalpopolari, dove gli portano l'acqua con le orecchie, Carlo Verdone è considerato da tempo bollito, è opprtuna una premessa. A me l'attore/regista romano piace. Di lui in particolare apprezzo una manciata di film girati e interpretati nel decennio che va dalla fine degli ottanta alla seconda metà dei novanta (Io e mia sorella; Compagni di scuola; Maledetto il giorno che t'ho incontrato; in parte anche Al lupo al lupo e Perdiamoci di vista) e in particolare considero Sono pazzo di Iris Blond un bell'esempio di contaminazione tra commedia all'italiana, cinema europeo e film a tema musicale. E quella per le sette note è una passione che Verdone (ex-batterista) ha progressivamente svelato, rivelando il suo amore verso il blues (di recente per Repubblica ha intervistato Joe Bonamassa), per nomi noti come Jimi Hendrix e artisti di culto come Scott Walker. Questi temi, ben sviscerati in passato nei titoli che ho citato e in altre pellicole, vengono in parte riproposti, almeno per la storyline che riguarda proprio Carlo (l'ex agente discografico caduto in disgrazia Ulisse Diamanti) in Posti in piedi in paradiso, l'ultima sua opera uscita nel 2012 che si avvale di un cast di nomi importanti, quali Pierfranceso Favino, Marco Giallini e Micaela Ramazzotti.
Il film, al quale mi sono avvicinato con la curiosità dei bei tempi, condizionato probabilmente anche dalla buona stampa che ne ha accompagnato l'uscita nelle sale, gira intorno ad uno spunto interessante (la convivenza forzata tra tre adulti caratterialmente diversi, accomunati dalle sconfitte della vita e dall'essere squattrinati), ma si perde in una sceneggiatura esilissima, accadimenti sconclusionati, dialoghi imbarazzanti e characters (sopratutto quelli della Ramazotti e di Giallini) esageratamente folkloristici. La credibilità del Verdone negoziante di dischi è talmente scarsa da metterti nelle condizioni di ricorrere ad una rilettura d'urgenza di Alta Fedeltà ( o in alternativa del film con Cusack) o de Il 33° giro:gloria e resistenza dei negozi di dischi (di Jones Graham) o, per restare dalle nostre parti, de L'ultimo disco dei Mohicani di Maurizio Blatto.
Spiace per Verdone e per i bravi attori del cast principale insomma, ma il film non trova mai l'equilibrio cercato tra commedia e introspezione. Come detto, non sono prevenuto, ma insomma questo è un film inconcludente e irrisolto.
Pensa che io invece sono pure prevenuto...
RispondiEliminaMeglio non guardarlo.
sottoscrivo gran parte del tuo post. l'ultimo Verdone che mi ha convinto è stato Ma che colpa abbiamo noi
RispondiElimina@Filippo: a sto punto me sa de sì
RispondiElimina@Dantès: era quello della seduta
psicanalitica di gruppo, vero?
Anche lì c'ha piazzato un tormentone
musicale, david sylvian mi pare...
sì, è quello. sulla musica non so, non mi ricordo
RispondiEliminaInconcludente e irrisolto come ormai da tempo i film di Verdone...
RispondiEliminaAhimè, concordo.
RispondiEliminaSono curioso di vedere come se la
caverà con il soggetto e la regia
di Sorrentino.
http://it.wikipedia.org/wiki/La_grande_bellezza