lunedì 19 settembre 2011

Bitter pill


Red Hot Chili Peppers
I'm with you (Warner Bros, 2011)



Si può anche far finta che sia come la prima volta. Si può fare come le donne che si concedono ai loro partner, gli stessi da vent'anni, immaginando, per farsi forza, di essere lì con, chessò Viggo Mortensen, invece che con un tizio che ha più i peli sulla schiena che capelli in testa e che ansima come un furgone scassato che arranca in salita.


Ecco, l'approccio con il nuovo dei Red Hot è stato un pò così. Eccitazione iniziale da lunga astinenza (per il sottoscritto è stata superiore ai cinque anni che hanno separato I'm with you da Stadium Arcadium del 2006, visto che mi sono tenuto talmente alla larga da quel disco che non l'avrei toccato nemmeno con un bastone di due metri), ulteriormente amplificata da qualche primo articolo favorevole(probabilmente marchette) di giornale, e poi dopo qualche ascolto il ritorno alla dura realtà: della band che abbiamo adorato è rimasto purtroppo solo tanto mestiere.



Intendiamoci, l'album non è brutto, però risulta innocuo, inoffensivo. Il che da un certo punto di vista è pure peggio: se ci sono voluti cinque anni per pubblicare un disco così, significa proprio che per i Red Hot Chili Peppers la notte ancora addà passà.



Perso per la seconda (definitiva?) volta Frusciante e assunto tale Josh Klinghoffer alla chitarra, il gruppo ha molto astutamente consegnato le chiavi della macchina a Flea. Il lavoro con il basso del piccolo pepperone dà inizialmente la sensazione di essere tornati indietro nel tempo, ma quando ci si rende conto che Rubin (alla produzione) si è limitato ad alzare il volume dello strumento una spanna sopra quello degli altri per cercare di far fare un figurone anche a normalissime progressioni , il bluff è svelato, ed è come svegliarsi dal torpore e tornare a fissare la schiena pelosa di cui sopra. In aggiunta a ciò, contrariamente a quanto mi è capitato di leggere in giro, non ho notato neanche grosse evoluzioni nella voce o nel modo di interpretare i brani di Anthony Kiedis e francamente Josh Klinghoffer e la sua chitarra mi sembra giochino un pò a nascondino nella struttura dei levigatissimi brani.



Tutto da buttare dunque? Beh, mettendo da parte le grandi aspettative andate deluse, un pezzo che avrebbe potuto stare senza sfigurare nei grandi album dei peppers forse si trova e si chiama Brendan's death song.

Poi, volendo, forse avrebbero potute essere delle oneste B-side dei periodi migliori Factory of faith; Annie wants a baby, Look around , Did i let you know (non fosse altro per il break di tromba) e Happiness loves company.

Un pò pochino per un lavoro di quattordici tracce, ma liberissimi di pensare che il tempo sia tornato a Mother's milk.





5 commenti:

WVS ha detto...

L'errore che spesso commettiamo (io per primo) è che un essere umano sia impeccabile e che dopo aver avuto successo, non possa far altro per tutta la vita. Io ricordo che ai tempi di By The Way mi ero caricato di aspettative (chi non lo avrebbe fatto dopo un disco come Californication?) dopo il singolo al fulmicotone. Ti dico solo che ho comprato il CD a scatola chiusa, l'ho ascoltato due volte e per non fare quello che lo butta nel cestino, l'ho riciclato come regalo. Orribile. In Stadium Arcadium c'è stato un tentativo di ritorno al funk mal riuscito, prolisso e con idee sviluppate a metà. Ho affrontato l'ascolto di questo disco con zero aspettative, poca voglia e con un singolo alle spalle che mi aveva lasciato l'amaro in bocca. Sono persino andato a vederli da vivo al cinema. Posso però dire, da fan decennale (sono un pistolino, remember), che questo lavoro è il loro migliore dai tempi di Californication. Ci sono dei testi che ricordano i migliori Peppers tutti figa e scorrazzate e ci sono delle melodie pop che a differenza dei due predecessori, riescono a centrare il bersaglio senza scemare a metà. Sul 'alziamo il basso' ti do ragione, ma questo non vuol dire che l'apporto di Klinghoffer sia inutile o marginale. Anche io ho notato che la chitarra, rispetto agli altri stumenti, voce compresa, è registrata a un volume più basso (anche live si sente pochissimo e mi domando perché), ma ti assicuro che ascoltando i brani nella versione 'senza voce' (sul Tubo si trovano tutti e 14 i pezzi in versione strumentale, forse a dimostrazione del fatto che i fan abbiano voluto capire il ruolo del nuovo chitarrista in sordina) si capisce l'apporto mastodontico di Josh, sia ai controcanti (ha una voce ME RA VI GLIO SA!) che alle parti di chitarra/piano/synth che fnno da contorno a tutto il groove da rinoceronte presente sul prodotto finito. Il problema, secondo me, è solo di 'produzione'. Come per Death Magnetic, Rubin ha toppato alla grande a 'sto giro. Poi, ti ripeto, non sono i RHCP ed è pure inutile - dopo un decennio di lamenti incisi su disco - aspettarsi la stessa band dell'89. Se ti dimentichi del nome del gruppo che stai ascoltando e ti concentri sull'inciso... il disco supera di un punto e mezzo la sufficienza.

Poi, oh... è il mio punto di vista, quello di uno che ha ascoltato i RHCP più dei suoi adorati Pearl Jam. :)

monty ha detto...

Grazie del contributo, sam :-)

p.s. a proposito, non mi hai mai
detto come è andato il concerto
al cinema...

WVS ha detto...

E' andato... diciamo che mi ha deluso più di quanto avrebbe dovuto deludermi l'album. Non tanto per l'esecuzione, anche perché era un warm up, ci stava qualche errore (e ce ne sono stati POCHISSIMI, t'assicuro), ma perché presentazione dell'album doveva essere e presentazione dell'album è stata. Tutto il disco eseguito in ordine traccia per traccia, tranne "Even you, Brutus?" (che se guardi i video e le scalette dei concerti fatti fino ad oggi, è l'unico pezzo che non hanno MAI suonato ad oggi) più "Me & My Friends" e una "Give It Away" eseguita in una maniera che di Frusciante ti dimentichi al secondo ritornello. Noia. In fin dei conti noia. Però direi che Kiedis stecca decisamente meno, canta veramente bene ora come ora. Pare che dopo 30 anni abbia imparato a farlo. Josh si è adattato alla grande al mood da palco dei RHCP, dove la stessa band pare resuscitata. Pare d'essere tornati all'entusiasmo, non dico degli esordi, ma almeno dei tempi di Californication. Durante gli ultimi due tour precedenti sembravano statue di sale. Un notevole passo in avanti, ripeto. Non sono i primi della classe, ma nemmeno i somari dell'ultimo banco.

Anonimo ha detto...

C'è un termine per definire un tipo di operazione sui titoli azionari, "Poison Pill"...sembra si adatti anche a sto disco, che ne dici?
Forse il problema dei RHCP è che non sono più i ragazzi di Bloodsugasexmagic e non se ne sono accorti? Invecchiare mica è sempre sta tragedia, basta rendersene conto...

monty ha detto...

Avvelenata no, dai. In relazione
alle aspettative è semplicemente amara.
Io sono sempre dell'idea che se si
è persa l'ispirazione migliore
almeno si eviti di autocoverizzarsi.
Mi rendo conto che non è così semplice...