Dopo circa un mese di ascolto intensivo de La rossa primavera, ancora non ho individuato una e una sola ragione per cui ogni volta che faccio suonare questo disco le lacrime cominciano a solcarmi il viso.
Sarà perchè queste canzoni mi fanno pensare a quei ragazzi, provienenti da culture ed estrazioni diverse, che, giovanissimi, decisero di diventare partigiani Mi fanno pensare al loro coraggio, alla loro forza, ai loro sogni, ai loro ideali, alle loro speranze di un futuro migliore. Mi fanno pensare al fatto che in molti pensavano che il comunismo avrebbe fatto vivere tutti in pace ed armonia. Mi fanno pensare a quanti sono stati perseguitati, arrestati, torturati, uccisi. Magari insieme alle loro famiglie, ai loro affetti. Mi fanno pensare anche ai soldati mandati a morire nella campagna di Russia, partiti tutti da fascisti, con la testa piena di propaganda del regime e tornati (pochi) da partigiani, perchè avevano capito. Mi fa pensare che mentre loro morivano per cacciare i nazi-fascisti, noi oggi ci ritroviamo con uno come Berlusconi.
Mi fanno pensare a mio padre, classe 1933, comunista da sempre, sindacalista in un pastificio vicino Salerno già all'età di sedici anni. Una vita intera dalla parte giusta, che tutti dicevano essere quella sbagliata. Tanta amarezza e smarrimento negli ultimi vent'anni di politica. Mi fanno pensare ai viaggi verso il sud che facevamo tutti insieme, inscatolati nella R4 di famiglia, con quella cassetta di canti della resistenza che non mancava mai e che da bambino detestavo.
Mi fanno pensare alla nostra generazione, queste canzoni. Dalla resistenza ad oggi i nostri padri hanno sempre conquistato più diritti per i figli, per dare loro un futuro, una vita migliore della loro, mentre noi saremo i primi che lasceranno ai propri eredi un posto peggiore di quello che abbiamo trovato. Mi costringono a pensare a me stesso. Mi fanno fare ciò che di norma evito accuratamente, cioè un bilancio del percorso che ho fin qui fatto. A ciò che sono oggi e a ciò che pensavo di diventare.
Potere della musica, di una manciata di canzoni a volte suggestive, altre dolorose, ma sempre pregne di emozioni.
Il progetto La rossa primavera segue idealmente quelli di altri dischi (provo a dire almeno Materiale Resistente e Appunti Partigiani, senza dimenticare i lavori di Giovanna Marini) che si pongono l'obiettivo di mantenere viva la memoria della resistenza al nazi-fascismo, di cosa abbia davvero rappresentato per l'Italia quell'oscuro periodo e di chi erano, loro malgrado, i veri eroi di quegli anni tremendi. Oltre ai canti tradizionali, i Gang hanno interpretato anche brani più moderni, loro e di altri artisti, tutti rigorosamente a tema. Ma La rossa primavera è anche un disco sfaccettato, attraversato da tanti link , con i pezzi che progressivamente si incastrano, in un gioco di rimandi tra gli autori delle canzoni e i protagonisti delle stesse.
Vorrei provare a commentare le tracce che più mi hanno colpito, premettendo che l'album consta di quindici pezzi per oltre settantacinque minuti di durata, e si apre con Fischia il vento.
Fischia il vento non è Bella ciao. Bella Ciao è diventato l'inno ufficiale della resistenza, è di tutti quelli che si riconoscono nei valori fondativi della nostra Costituzione, è la canzone che, anche grazie alla versione dei Modena City Ramblers, contribuisce ad unire le generazioni che andarono sulle montagne a quelle moderne. Fischia il vento è sì un pò questo, ma è anche una più radicale scelta di campo. E' la speranza che avevano una parte dei partigiani di costruire con il comunismo un futuro migliore. Non sta a me giudicare come e perchè queste aspettative siano state disattese. Resta il fatto che ci vuole coraggio oggi, con il parlamento che ha tanti post-qualcosa, ma nessuna espressione della sinistra cosidetta radicale, ad andare a riprendere versi come "scarpe rotte e pur bisogna andare/ a conquistare la rossa primavera / dove splende il sol dell'avvenir". Premesso questo, pur non essendo ai livelli di intuizione dei Modena City Ramblers con Bella Ciao, il pezzo è splendido. Lo stile è un driving-rock con innesti folk (dei Ned Ludd, ospiti in diverse canzoni del disco). Marino intona la prima strofa con voce monocorde e perentoria, ma poi con il ritornello il pezzo si apre in modo solare e la voce del cantante dei Gang torna ad essere quella armoniosa che ricordiamo, fino al finale con la cassa a sottolineare impetuosamente i passaggi "sventolando la rossa sua bandiera / vittoriosi alfin liberi siam". Molto più sincera e commovente delle altre cover fin qui ascoltate ( Banda Bassotti, Skiantos e di nuovo MCR).
Dante Di Nanni. Prima di commentare il pezzo, vi esorterei a leggere la storia di Dante, qui brevemente descitta. Il brano che prende il nome da questo partigiano torinese nato da genitori immigrati pugliesi, è una cover degli Stormy Six che la band dei fratelli Severini propone in concerto già da tempo, al punto che è diventato praticamente un classico del loro repertorio. Il testo ripercorre in maniera onirica, molto evocativa, la vita di Dante. Come un sogno nel quale, pur essendo la realtà filtrata dalla fantasia, tutto appare molto chiaro. Il pezzo che nella versione originale era proposto in chiave psichedelica, qui viene proposto in una chiave folk semplice ma diretta, che esalta le liriche e la figura di un uomo (un ragazzo di diciannove anni) con una forza ed un coraggio tali da sembrare quasi un magnifico personaggio letterario. Un'icona.
La Brigata Garibaldi è un traditional riproposto sottoforma di marcetta, con un attacco quasi blugrass (sempre grazie al contributo dei Ned Ludd, presumo). Non conosco la versione originale, ma ritengo, visto lo stile, che non sia molto diversa da quella proposta dai Gang. Volendo dividere le melodie della resistenza in due filoni: canzoni di morte e canzoni di riscossa/orgoglio/lotta, questo pezzo fa sicuramente parte della seconda sezione. Un brano tutto sommato semplice e diretto, ma, una volta superata la barriera dello stile (non certo rock), diventa irresistibile. Anche in questo caso vi invito a fare come me. A documentarvi cioè sulle gesta della Brigata Garibaldi, storica formazione partigiana. Nel gioco ad incastri a cui accennavo in precedenza, l'inno delle Brigate Garibaldi era proprio Fischia il vento.
Su in collina. Ecco, questo è un altro degli acme dell'album. Il brano è di Francesco Guccini (da non confendere con La collina, dal disco L'isola non trovata del 1970). E' un inedito (il cantautore tosco-emiliano non l'ha ancora incisa) che Guccini propone ultimamente dal vivo. Nasce dalla traduzione (e dall'elaborazione) di una poesia in dialetto bolognese su un episodio della resistenza. Il fatto che i Gang abbiano deciso di riprendere un pezzo che a sua volta è stato recuperato dagli anni della resistenza emiliana, dà, a mio avviso, il senso della continuità circoolare insito nella cifra stilistica dell'opera. Lo stile del testo è descrittivo. Ascoltarlo è come vedere un film o addirittura essere lì al gelo, a marciare insieme ai partigiani. Viene raccontata una vicenda drammatica (filone canzoni di morte dunque) di vita quotidiana di una brigata partigiana. Rispetto alla versione di Guccini, i Gang la interpretano attraverso un rock veloce, con un intro bluesato a conferire solennità, pathos e suggestione.
Pane, giustizia e libertà è una canzone di Massimo Priviero. E' dedicata alla straordinaria, incredibile figura di Nuto Revelli, partigiano ex tenente degli alpini, che è delittuoso non conoscere. Il pezzo è davvero toccante. Devo confessare che non ritenevo Priviero (almeno quello che ricordavo io) capace di scrivere brani di alta scuola come questo. Una lezione di storia racchiusa in pochi minuti di musica leggera. Nuto, sempre per il gioco di rimandi a cui accennavo, è anche l'autore di Pietà l'è morta, traccia numero 13 del disco.
Quei briganti neri è un tradizionale che Marino canta accompagnato dal solo pianoforte. E' giocato sulla continua ripetizione della seconda parte di ogni strofa e sa guidare le emozioni in maniera struggente.
Festa d'Aprile è davvero una festa. Una mazurka che ridicolizza repubblichini e tedeschi. Un pezzo a suo modo divertente, uno sfregio, uno sberleffo, la risata finale che ha seppellito i nazi-fascisti.
Lascio per ultimi i pezzi dei Gang: La pianura dei sette fratelli; 4 maggio 1944 in memoria; Eurialo e Niso; Aprile. Almeno i primi tre di questo elenco sono stati più volte riproposti dalla band in dischi degli ultimi anni e pertanto è naturale per chi segue la band dei fratelli Severini storcere un pò il naso nel ritrovarseli in tracklist. E' però tale la forza di queste canzoni che basta l'attacco de La pianura dei sette fratelli (" E terra e acqua e vento, non c’era tempo per la paura") o il ritornello di 4 maggio 1944, in memoria (che è semplicemente composto dai nomi di una famiglia di sette persone sterminata durante l'eccidio nazi-fascista di Monte Sant'Angelo (AN) nel quale furono trucidati in 63 , tra civili e partigiani), a far accantonare ogni capzioso preconcetto e prendere nuovamente atto della grandiosità di queste composizioni.
L'ho fatta lunga ed è esattamente così che l'avevo premeditata. Quello che non so invece è se sto perdendo tempo sul disco di una band che per molti non ha più niente da dire, se sto dando il giusto spazio ad un capolavoro o se, più semplicemente, queste canzoni siano arrivate a me in un momento di smarrimento emotivo e io le abbia abbracciate strette come fa il naufrago con un asse di legno in mare aperto.
Di certo so che La rossa primavera è un disco necessario. Necessario a smuovere i ricordi e magari anche le coscienze, visto il revisionismo dilagante, gli attacchi alla costituzione,le banalizzazioni storiche, i pericoli di nuovi autoritarismi, i tentativi di mettere fascisti e partigiani tutti sullo stesso piano, gli Scilipoti presenti e futuri che utilizzano ancora nei loro programmi ampi stralci del manifesto del partito fascista e i ciclici tentativi di abolire il reato di apologia di fascimo.
Ma è necessario anche a me e a quanti sanno, ma troppo facilmente dimenticano.
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