venerdì 25 settembre 2009

Le origini di un outlaw


Confesso che avevo trascurato questo lavoro di Hank 3. Ma d'altro canto preso com’ero dalla full-immersion di Straight to Hell prima e di Damn Right Rebel Proud poi, rischiavo veramente l’overdose e la crisi di rigetto. Adesso che lo sto ascoltando con la dovuta calma, mi presento davanti alla tastiera con i miei worn-out boots e lo Stetson bianco calato in testa per tentare di recensire quello che considero un disco dannatamente valido.

Anzi, limitarsi a dire che è valido è molto riduttivo. Non ho elementi probatori, ma sono convinto che Broke, Lovesick and Driftin’ abbia fatto un bel po’ di casino alla sua uscita, diciamo che lo immagino come una bomba che ha provocato un bel cratere su Nashville, la mecca del mainstream country.

Il disco (del 2002, seconda opera dopo il debutto di Rising Outlaw) già dal titolo, contiene in embrione tutti gli elementi che contraddistingueranno in seguito l’asset industriale del Williams del ventunesimo secolo. L'indipendenza dal pop country, cantata con irriverenza in Trashville, la deriva sociale dell’outlaw (la title track, Whiskey, weed and women, Cecil Brown, One horse town),le ballate per i broken hearts (Callin’ your name, Walking with sorrow ) , il cowpunk di Nighttime Rambling man, il divertimento molesto e sfrenato (beh, tutto il resto dell’album). Tra l’altro questo è anche l’unico disco nel quale Hank utilizza lo yodel ( lo stile country introdotto a metà anni venti da Jimmie Rodgers, che trae ispirazione dalla musica delle alpi svizzere) in
Walking with sorrow e One horse town.

Ci sono almeno sei capolavori qui dentro. Mississippi mud è il primo. Scanzonata e alcolica, con un testo e un ritornello che si stampano in testa, e lì mettono radici. Le malinconiche Cecil Brown e Broke, lovesick and drifter, poi Trashville, una specie di prova generale per il definitivo anthem Dick in Dixie,che arriverà da lì a poco, l’honky tonk di 7 months,39 days e la cover, presente anche su di un album di tributo a Nebraska, di Atlantic City, di Springsteen, qui presentata in una versione giocata su violino e dodici corde, che nella parte finale rallenta in maniera drammatica, lasciando il posto alla slide e creando un bel pathos (a voler esser pignoletti, unica pecca è l’eliminizione da parte di Williams di un pezzo di strofa – l’originale fa down here it's just winners and losers / and don't get caught on the wrong side of that line mentre il rifacimento toglie, probabilmente per un problema di metrica, la seconda parte - ).

In definitiva, un bel disco country, un segnale di personalità e indipendenza, un avvertimento lanciato a chi lo voleva vendere come un prodotto preconfezionato pronto per essere collocato negli scaffali dei negozi, magari tra Keith Urban e Billy Ray Cyrus. A questo punto il quadro d'insieme mi autorizza a dire che il buon vecchio Hank, fin qui, non ha sbagliato un colpo.
Sempre damn right rebel proud.

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