Io Suzy e i Led Zeppelin è un libro un po’ subdolo. E lo è per diverse ragioni. La prima è il tema trattato, che si potrebbe semplicisticamente riassumere nella ricerca della felicità, sia essa rappresentata dal disco perfetto, dall’amore ideale o dalla giovinezza perduta. La seconda è che scorrendo le prime pagine, la sensazione di leggere qualcosa che potresti anche aver scritto tu stesso è fortissima. Il linguaggio è semplice, così come l’esposizione dei concetti. Tutto è molto chiaro e lineare. Lo leggi e pensi, beh che ci vuole, lo posso fare anch’io. Quando si crea questa situazione, in genere ho l’impulso di lasciar perdere la lettura, è come se l'ineresse del libro andasse di colpo a farsi benedire, venendo meno lo stupore legato allo stile dello scrittore. In questo caso fortunatamente non è stato così, e ho portato a termine il racconto.
Di cosa parla dunque Io Suzy e i Led Zeppelin? Beh, il titolo dice già molto. La storia è ambientata tra il 1971 e il 1972, in una località alla periferia di Glasgow. “ Io” è l’autore Martin Millar, la Suzy è la ragazzina più carina del liceo, di cui lui è segretamente innamorato e i Led Zeppelin, rappresentano il ruolo fragoroso e salvifico che il rock ha avuto nella vita di Millar (e di altri milioni di adolescenti come lui). Ci sono anche Greg, amico del cuore dell’autore, Zed, il più fico della scuola, fidanzato con la Suzy del titolo e Sherry, la ragazzina sfigata con gli occhiali che scrive poesie d’amore sul suo diario segreto.
La storia è raccontata utilizzando la tecnica del flashback. Millar racconta all’amica del cuore Monx le sue disavventure adolescenziali e ne approfitta per fare un po’ il punto sulla sua vita da adulto e su quella dell’amica, mamma single.
Che vi dicevo, fin qui potevamo scriverlo anche noi, questo libro (pensavo ad esempio a una saga come Io e i Metallica di Ale, magari ampliata e corretta, si possa avvicinare ad un’opera come questa).
Volendosi cimentare, ci mancherebbe però un elemento determinante. Tutta la storia del Millar ragazzino ruota intorno ad un evento cardine che a noi mancherebbe. Il concerto che i Led Zeppelin tennero a Glasgow il 4 dicembre del 72, e al quale l’autore e i suoi amici parteciparono, che oltre a fare da perno alla storia, è descritto minuziosamente come si fa con le recensioni vere e proprie.
L’abilità dell’autore è quella di far tornare ragazzi anche i lettori (benché a molti di noi non servano grossi stimoli…) ricordando come la musica in un certo momento della nostra vita fosse indispensabile e in qualche modo compensasse altre mancanze essenziali, dovute all’aspetto estetico, ai vestiti o all’amore, o di come non si vedesse letteralmente l’ora di tornare a casa da scuola per mettere su ognuno il proprio Led Zeppelin IV (in effetti non tutti hanno avuto la fortuna di crescere con un masterpiece di quel livello…).
La musica rock aveva quel potere sulle nostre vite, ed è un po’ triste il fatto che non l’abbia più, che non ci sarà mai nessun disco nella nostra vita di quarantenni che possa emozionarci e darci dipendenza a quel modo, nonostante continuiamo ostinatamente a cercarlo.
La storia è raccontata utilizzando la tecnica del flashback. Millar racconta all’amica del cuore Monx le sue disavventure adolescenziali e ne approfitta per fare un po’ il punto sulla sua vita da adulto e su quella dell’amica, mamma single.
Che vi dicevo, fin qui potevamo scriverlo anche noi, questo libro (pensavo ad esempio a una saga come Io e i Metallica di Ale, magari ampliata e corretta, si possa avvicinare ad un’opera come questa).
Volendosi cimentare, ci mancherebbe però un elemento determinante. Tutta la storia del Millar ragazzino ruota intorno ad un evento cardine che a noi mancherebbe. Il concerto che i Led Zeppelin tennero a Glasgow il 4 dicembre del 72, e al quale l’autore e i suoi amici parteciparono, che oltre a fare da perno alla storia, è descritto minuziosamente come si fa con le recensioni vere e proprie.
L’abilità dell’autore è quella di far tornare ragazzi anche i lettori (benché a molti di noi non servano grossi stimoli…) ricordando come la musica in un certo momento della nostra vita fosse indispensabile e in qualche modo compensasse altre mancanze essenziali, dovute all’aspetto estetico, ai vestiti o all’amore, o di come non si vedesse letteralmente l’ora di tornare a casa da scuola per mettere su ognuno il proprio Led Zeppelin IV (in effetti non tutti hanno avuto la fortuna di crescere con un masterpiece di quel livello…).
La musica rock aveva quel potere sulle nostre vite, ed è un po’ triste il fatto che non l’abbia più, che non ci sarà mai nessun disco nella nostra vita di quarantenni che possa emozionarci e darci dipendenza a quel modo, nonostante continuiamo ostinatamente a cercarlo.
Lo compro! :woot:
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