mercoledì 13 giugno 2007

Springsteen with the Sessions Band Live in Dublin


E’ da una vita che Springsteen non pubblica un disco con una copertina decente. Fino a Born in the USA tutto bene, con i picchi di realismo fotografico di Darkness e The River, da lì in poi il naufragio creativo. Quest’ultimo live chiude (in)degnamente il cerchio. Nemmeno un bootleg anni ottanta sarebbe potuto scendere così in basso. Davvero uno sforzo creativo da Gianni e Pinotto. Per fortuna la musica dentro è tutta un'altra storia, va da sé.

Mi piace questa nuova posizione di Springsteen riguardo la pubblicazione dei live, ha fatto penare i suoi fans dodici anni per il suo primo disco dal vivo (il quintuplo vinile Live 75/85, forse il live più atteso della storia), ma dopo il 1992 li ha sfornati con una certa frequenza.

E’ un apprezzabile fotografia del tour con la Seeger Session Band che viene immortalata in questo doppio cd (più dvd) registrato a Dublino nelle date conclusive della seconda parte del tour europeo.

La Session Band (in questo disco ha perso il prefisso Seeger), una combriccola composta in larga parte di sconosciuti nerds del pentagramma, è in forma e rodata, violini, flauti, contrabbasso, fisa, mandolini e chitarre si amalgamo con il sound dixieland della sezione fiati, creando una contaminazione veramente unica ed emozionante. Springsteen sembra ritagliarsi un ruolo quasi da comprimario, fa meno il one man show e si integra con l’orchestra lasciando parlare la musica.

Mi lasciano un po’ perplesso le versioni stravolte dei suoi classici, non che siano brutte interpretazioni, ma mi chiedo cosa rimanga di Open all night nella pur travolgente versione qui proposta o di Atlantic City e di Blinded by the light addirittura messicaneggiante. Per capire il senso della mia critica, immaginate brani dalle atmosfere cupe tipo Emozioni di Battisti o Luci a S.Siro di Vecchioni sulla base de La bamba e ci sarete vicini. Ripeto, tutta roba gradevole, ma che lascia una strana sensazione di lusso superfluo.
Strepitose invece le versioni di Eye on the prize, When the saints go marchin in, This little light of mine, Erie canal e Pay me my money down con il sing along del pubblico. Inspiegabile e per certi versi imbarazzante invece la scelta di di chiudere il disco con il pop-reggae di Love of the common people, che davvero non centra niente con il resto.

Mi sarebbe piaciuta un’operazione del genere (cioè un instant live) anche per il tour di Devil and dust, dove, secondo me più che nel tour solo di The ghost of Tom Joad, Bruce è stato padrone unico e incontrastato del palco, pasticciando anche con l’elettronica e interpretando classici e forgotten songs con passione ed estro. Memorabile la versione blues alla Tom Waits di Reason to believe, che apriva gli show, e la spettrale Dream baby dream dei Suicide in chiusura.

Resta il fatto che se per i primi anni della sua carriera in molti ci lamentavamo dell’esiguo numero di dischi pubblicati (soprattutto a fronte dell’enorme mole di lavoro in studio, e della frenetica attività concertistica), mi sembrano strumentali le polemiche di una parte dei fans che rognano per la ragione diametralmente opposta.

Per me una nuova uscita del Signor Scialfa è sempre una festa.

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