giovedì 21 marzo 2024

Piana/Vesco, Dammi un segno (una recensione)

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, la recensione di Vale Sapisi di un romanzo romantico che affronta il tema della sordità.

Quando, qualche anno fa, iniziai a studiare la Lingua dei Segni ne ero totalmente affascinata, grazie ad essa scoprii una comunità e la sua cultura. Cominciai a partecipare alle attività organizzate dalle associazioni di sordi, m'impegnai in una serie di attività di volontariato e scrissi anche qualche racconto con l'intento di trasmettere il mio entusiasmo e far conoscere la condizione dei sordi. Rileggendoli però, non mi piacquero, avevano qualcosa di artificiale, falso. Li misi da parte e non ci pensai più. Oggi sono abbastanza convinta che per scrivere di disabilità bisogna conoscerla molto, molto bene, e avere delle capacità letterarie solide. Se poi a scrivere è un disabile, ancora meglio. Al primo anno di corso LIS lessi “Il grido del gabbiano”, l'autobiografia dell'attrice sorda Emanuelle Laborit e, anche se non era un capolavoro a livello letterario, mentre lo leggevo sentivo di comprendere almeno un po' dei sentimenti che l'autrice provava la sua condizione.

 “Dammi un segno” è la storia d'amore tra un ragazzo sordo (Brando) e una ragazza udente (Sofia). Si incontrano sul tram ogni sera ma nessuno dei due ha il coraggio di fare la prima mossa. Quando infine riescono a dichiararsi entrano uno nel mondo dell'altra. Sofia e la sua coinquilina Nina conosceranno gli amici di Brando, Daniele e Mauro, e la comunità sorda alla quale appartengono. L'idea non è nuova, tutti ricordano “Figli di un dio minore” in cui si seguiva la nascita di un sentimento tra un insegnante udente e una giovane sorda, però non è detto che la stessa trama non possa svilupparsi in modo nuovo, dato che la società è cambiata e, anche se tuttora l'inclusione non è stata raggiunta, la sordità è più conosciuta.

Però, devo dire, sono rimasta abbastanza delusa da questa lettura, principalmente perché non ho trovato una narrazione soddisfacente della disabilità: anche se in queste pagine se ne parla e ci sono dei lunghi monologhi dei protagonisti rispetto al loro passato (infanzia e prima giovinezza), non ho avuto la percezione di cosa comporti essere sordo, quali siano le conseguenze nella vita quotidiana. I ragazzi sordi comunicano perfettamente e non hanno mai un problema; Sofia e Brando si capiscono troppo bene, io e il mio ragazzo siamo entrambe udenti e ogni tanto litighiamo, magari travisiamo quanto ha detto l'altro, come può essere che tra due giovani che vengono da realtà così diverse sia sempre tutto tanto perfetto?

E poi, non viene esplicitato il modo in cui i personaggi comunicano. Io che ho fatto i corsi  Lis so che i sordi possono segnare o leggere il labiale e parlare, ma mi chiedo cosa possa capire chi non conosce la sordità. Ci sono anche momenti che mi hanno lasciata molto perplessa, come quando si scopre che Sofia non ha mai fatto incontrare Brando ai suoi genitori e (spoiler) questi scopriranno che il futuro marito della figlia è sordo solo il giorno del matrimonio. “Non volevo creare imbarazzo” dice lei, ma a me non sembra una cosa molto carina, soprattutto verso il povero Brando, tenuto nascosto ai futuri suoceri, come se ci si vergognasse di lui.

A parte questo, la storia si svolge in modo poco realistico (spoiler), il viaggio dei tre ragazzi sordi in Giappone, India, Sud America va troppo liscio, tutti li capiscono al volo e tutti sono gentili e disponibili, va sempre tutto bene, come se si trovassero a Milano o Venezia. Sofia, dal canto suo, impara la LIS  nel tempo in cui Brando è in viaggio: mi viene in mente che forse io e tutti gli altri allievi dei corsi dobbiamo essere poco svegli, visto che ci abbiamo messo almeno 3 anni. Insomma, nel racconto c'è molta approssimazione. La Cultura Sorda non viene mostrata, ma spiegata in lezioni didascaliche che Sofia e Nina impartiscono a malcapitati (amici, parenti...) ogni volta che hanno l'occasione.
 A coronare tutto questo un finale che definire prevedibile è poco.

Mi dispiace doverlo dire, ma questo libro è semplicemente brutto, affronta un tema importante in modo goffo e superficiale, con una scrittura veramente povera e infantile, e questo è tanto più grave considerato che i protagonisti sordi sono ispirati a persone reali e Daniele e Mauro hanno collaborato con le loro storie al romanzo. Le loro esperienze, come quelle delle persone che fanno parte della comunità riportate al termine del volume, avrebbero meritato ben altra scrittura. Un vero peccato.


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