lunedì 17 luglio 2023

Elvis (2022)


Il mito di Elvis Presley, una delle più ingombranti icone pop del novecento, con flash della fanciullezza, l'esplosione nel 1956, le polemiche, il famoso '68 comeback, il declino, la morte. 

Ho ridotto all'essenziale la sinossi perchè, tanto, cosa c'è da dire sulla trama di un biopic (l'ennesimo, questo sì è da sottolineare), su Elvis? 
L'approccio cinematografico ipertrofico e caleidoscopico di Baz Luhrmann (regista che ho molto amato per il suo Romeo + Juliet) è noto, e per certi versi era la persona più adatta per riproporre una storia masticata e rimasticata più volte. 
La sua scelta è quella di far raccontare la vita del King da quello che ci viene indiscutibilmente presentato come il villain della storia: il colonnello Parker (interpretato da Tom Hanks), che sfrutta fino allo sfinimento psicofisico, spesso attraverso subdoli ricatti morali, il suo artista, soprattutto quando Elvis vorrebbe dare una svolta alla sua carriera con, ad esempio, un tour mondiale, affascinato dal successo di Led Zeppelin e Rolling Stones. 
E' sicuramente inusuale che la figura negativa del film (il Colonnello ci viene mostrato come un cinico e crudele affarista, responsabile diretto del decadimento di Presley, e quindi della sua morte) faccia anche da Caronte e ci conduca in questo viaggio prima esaltante (gli esordi) e poi tragico, con gli ultimi anni in cui il Re del Rock and Roll è sostanzialmente prigioniero di una residence (una serie infinite di show) a Las Vegas. 

Il primo atto del film è probabilmente il migliore, con la sceneggiatura che celebra il giusto tributo a tutta la musica nera (soul, gospel, errebì e blues) che Elvis, bianco in un area quasi totalmente afroamericana, ha respirato da fanciullo. E' citato il suo rapporto fraterno con B.B. King, Sister Rosetta Tharpe, Mahalia Jackson e le forti influenze di Blind Lemon Jefferson, Fats Domino e Little Richard. A formare il suo modo per l'epoca incendiario di stare sul palco la frequentazione dei locali per soli neri (all'epoca era ben salda la segregazione razziale) e, strano a dirsi, le chiese. In tutto questo non ci si può esimere dall'apprezzare la caratterizzazione di Austin Butler del King, al netto di un problema: forse per una eccessiva forma di rispetto verso il Mito, Butler offre allo spettatore sostanzialmente sempre la stessa immagine di Presley, nonostante l'originale Elvis fosse, nei settanta, appesantito com'era, la tragicomica controfigura di se stesso.

Probabilmente tutto il budget di trucco e parrucco è stato destinato al personaggio di Tom Hanks, con effetti, a mio avviso, inversamente proporzionali allo sforzo profuso, se, a tratti, si sfiora la comicità involontaria e se il suo colonnello assomiglia al Pinguino di Batman, nella versione di Danny De Vito. 

Il giudizio del film oscilla su questi aspetti. Va dall'esaltazione eversiva, quasi punk del primo atto (fino alla "punizione" del servizio militare), alla descrizione di un personaggio troppo monodimensionale (il col. Parker, appunto) fino ad un indigesto e poco credibile melodrammone finale. E' cristallina la volontà di Luhrmann di ricondurre il mito alle sue origini musicali, restituendo così un ruolo centrale a tutta la comunità nera proto rock 'n roll  dei primi cinquanta, e in questo l'operazione non solo è riuscita ma sacrosanta. C'è, d'altra parte, una forma di deferenza assolutoria, agiografica, sulla figura, in realtà controversa, del King, che contamina un pò il tutto. 

Elvis resta comunque una produzione importante, mai come in questo caso da vedere per farsi una propria opinione personale.


Sky

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