Non è questo il caso dello svizzero/statunitense Manuel Gagneux, leader degli Zeal & Ardor, che, avvalendosi di una combo flessibile di quattro - sei musicisti, e dentro una traiettoria di liriche caratterizzate da un preciso impegno sociale (a favore del movimenti che sostengono gli afroamericani) arriva al terzo full-lenght in otto anni operando una contaminazione pericolosa, ma posso, dirlo, fruttuosa, tra il gospel e il metal estremo.
Questo per sintetizzare l'aspetto più particolare di un disco che tuttavia regala belle suggestioni anche in ambito folk, ambient/black e industrial. Si percepisce chiaramente, nell'ascolto delle quattordici tracce, per tre quarti d'ora di musica, che compongono il self titled, il lavoro, le limature, la cura nella stesura e nella realizzazione delle composizioni. Solo così si passa da un gospel-industrial (Zeal&Ardor), all'alternanza tra linee vocali clean, screaming e growling ( solo a titolo esemplicativo: Death to the holy; Feed the machine), a esplosioni di batteria "triggerata", a pezzi western (Golden liar), di nuovo all'ambient/black (Emersion). Un vero e proprio viaggio dunque, che riesce a rendere omogeneo il continuo switch tra generi, sia da una traccia all'altra, che nell'ambito dello stesso pezzo. Una modalità che di certo non inventa Gagneux, ma che sicuramente l'artista maneggia con non banale perizia.
Sicuramente uno dei dischi da rimarcare dello scorso anno, una band da tenere d'occhio e un ringraziamento ad Ale per avergli dato ampio spazio, facilitandomene la conoscenza.
Sempre a disposizione!!!
RispondiEliminaI know, my dear
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