lunedì 7 novembre 2022

Michael Monroe, I live too fast to die young (2022)

 

La storia della musica rock è fitta di "what if". Uno di essi concerne sicuramente gli Hanoi Rocks. Cosa sarebbe successo se il batterista Razzle non fosse morto prematuramente (nel noto incidente automobilistico assieme a Vince Neil, che guidava), causando indirettamente lo scioglimento della band, al suo apice? Nessuno può dirlo, non è da escludere che le tre forti personalità degli Hanoi (Michael Monroe, Andy McCoy e Sami Yaffa) fossero comunque arrivate al capolinea, ma tant'è. Dopo il disbanded, dei tre, il frontman Monroe è quello che, senza dubbio, è riuscito a ritagliarsi la carriera solista più solida o quantomeno più esposta ai riflettori, con dodici album titolati a proprio nome (più tre, negli anni zero, con la reunion degli HR). 

Ultimo della schiera questo I live too fast to die young (titolo da true rocker, copertina full eighties) che ha dalla sua una manciata di pezzi veramente convincenti capaci di restituire lustro allo sleaze, ma forse sarebbe meglio dire al rock stradaiolo tutto. Vero è che per noi vecchi arnesi del novecento l'interezza di un album ha una sua sacralità, però cazzo un album di rock and roll abbisogna di una partenza a razzo, due tre pezzi che ti fanno rizzare le orecchie, soprattutto da quando siamo inondati in maniera bulimica di proposte musicali. Monroe probabilmente lo sa, e ci accontenta con una doppietta iniziale da manuale: Murder the summer of love e Young drunks and old alcoholics, due pezzi che fossero usciti nei settanta o negli ottanta avrebbero avuto ben altra visibilità e riscontri, ma che, anche nel 2022  rischiano comunque di mandare in depressione e far deporre le chitarre per manifesta inferiorità a tante giovani bands.

Il gruppo che accompagna Matti Antero Kristian Fagerholm (nome completo di battesimo del nostro) è ormai consolidato e, tra gli altri, vede al basso il vecchio sodale Yaffa (tra l'altro anche lui reduce da un disco a proprio nome). In aggiunta al personnel, sulla title track, altro pezzo anthemico che nello spirito tanto sarebbe piaciuto ai Motorhead, l'ospitata di Slash che paga un pezzettino di tributo ad una delle sue band di riferimento giovanile. L'album è concepito in pieno spirito pre-playlist/spotify e gode per questo di un perfetto bilanciamento tra tracce tirate e momenti introspettivi o midtempo, nei quali è bannata la banalità dei testi e basta ascoltare Derelict palace, Antisocialite o Dearly departed per rendersene conto. 

Insomma I live too fast to die young è un disco dannatamente buono, che rimette con l'arroganza data dalla sicurezza dei propri mezzi lo sleaze sulla mappa. Valuta tu se sia un bene o un male che a realizzarlo sia un'icona, un "sonic reducer" dei tempi d'oro di questo genere e non un giovane virgulto, ma in ogni caso dagli una chance perchè se l'è meritata sul campo.

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