Partiamo da un aspetto che ben fotografa l'incontenibile affetto dei fans nei confronti dei fratelli Severini: per la realizzazione di Ritorno al fuoco (titolo mutuato da un saggio di Gary Snyder) i Gang sono ricorsi per la terza volta (dopo Sangue e cenere e Calibro 77) al crowfounding. Ebbene lo strabiliante risultato ottenuto ha proiettato questa band, da anni fuori da qualsivoglia riflettore mediatico, a conseguire il record italiano di fondi raccolti (in ambito musicale), quasi settantremila euro (garantiti da millecinquecento donatori) che Marino ha così commentato: "grazie a così tanti co-produttori abbiamo a disposizione le risorse necessarie per realizzare un disco di gran qualità, che nessuna etichetta indipendente o casa discografica ci avrebbe messo a disposizione. E questo crea di conseguenza le condizioni per lavorare completamente in libertà, senza alcuna costrizione dettata da regole del mercato e del profitto, nemiche di ogni creatività". Una passione incontenibile, quella dei follower dei marchigiani, che il gruppo ha riversato pienamente negli undici brani, dieci inediti e una cover, che compongono il disco.
Da un punto di vista filosofico, con La banda Bellini i Gang continuano la propria ostinata divulgazione di nuovi banditi senza tempo, cioè di personaggi che anarchicamente hanno rifiutato di seguire la strada nella quale la società voleva ingabbiarli ("nessuno di loro è iscritto a Statale / e all'Innocenti non vogliono crepare"). In questo caso ad essere decantate in uno strepitoso tripudio di fiati, violini, banjo e fisarmonica sono le gesta di una banda che ha agito nella Milano dei settanta, protagonista di un romanzo di Marco Philopat. Anche grazie ad un ritornello irresistibile che si chiude con uno "scion scion" di morriconiana memoria, siamo al cospetto di uno dei migliori brani di sempre dei Gang. Al termine dell'ascolto dell'album, di canzoni di questo livello, ne annovereremo altre.
E' chiaro che la cifra stilistica della band non può e non potrà mai esulare dall'accendere potenti (ma sempre poetici) riflettori su attualità, politica e diseguaglianze, ricordando ai più distratti conflitti dimenticati, come quello del Kashmir (Azadi), celebrando tentativi di instaurare governi laici, liberi e ispirati a valori socialisti (Rojava libero) dentro dittature liberticide (la Siria, in questo caso), ma anche regalare un "inno alla gioia" dedicato a Pepe Mujica, ex presidente dell'Uruguay (Pepe), o di rievocare un massacro dimenticato subìto da undici italiani rinchiusi in prigione e lì linciati da migliaia di persone, a New Orleans nel 1891 (Dago), così come quotidiane tragedie italiane (Concetta) e, infine, scatenandosi in un'inebriante e festosa dedica mariachi a Mimmo Lucano, con quella bellezza che è Un treno per Riace, una canzone che è baciata dalla migliore ispirazione e che omaggia De Gregori in un paio di passaggi (non serve che indichi quali, basta ascoltarla), anche se il vero tributo al cantautore romano arriverà più in là nella tracklist.
Tuttavia, come mi sembra di aver già scritto, ciò che distingue i Gang dai tanti gruppi "combattenti" loro contemporanei è una sensibilità e una capacità di scrittura che li pone se non ai livelli dei più grandi, di poco sotto. Una sensibilità che, sarà la non più giovanissima età, li porta a comporre canzoni d'amore mature e non banali, come Amami se hai il coraggio, un pezzo autenticamente emozionate. Una composizione che traccia un solco incolmabile tra chi pensa che bastino quattro slogan giusti per chiudere un pezzo e chi sa essere di poesia e di lotta senza snaturarsi mai.
Con la cover, struggente ed evocativa, di A Pà, oltre all'omaggio musicale si consegna all'ascoltatore anche un ricordo speciale e doloroso, visto che il brano fu dedicato a Pier Paolo Pasolini.
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