lunedì 7 giugno 2021

Loretta Lynn, Still woman enough

 


Mi soffermo doverosamente, non avendolo mai fatto in precedenza, su una delle ultime leggende del country popolare (l'altra è Willie Nelson) ancora in vita. Loretta Lynn, classe 1932, ha avuto un'esistenza avventurosa, al punto da essere portata sul grande schermo con un film del 1980 (La ragazza di Nashville) che fece vincere un Oscar a Sissy Spacek proprio per l'interpretazione della Lynn.

La cantante nativa del Kentucky, caratterizzata nell'outfit con onnipresenti abiti colorati modello vecchio West, arriva alla soglia dei novant'anni con il suo quarantaseiesimo album ed è sempre grande l'attenzione che le riserva lo stardom nashvilliano.Infatti, come accade regolarmente almeno negli ultimi vent'anni (Van Lear Rose del 2004 fu prodotto da Jack White) anche quest'ultimo Still woman enough è infarcito di ospitate.

Lo schema dell'album riprende la formula "a geometria variabile" ormai consolidata, presentando un mix di brani di repertorio assieme a tracce inedite. Il titolo stesso dell'opera, che è anche la canzone che apre la tracklist, featuring Reba McEntire e Carrie Underwood,  è una sorta di replica a You ain't woman enough, canzone (anch'essa ripresa in coda a questo disco) e album che Loretta pubblicò nel 1966. Non credo serva mi dilunghi più di tanto sullo stile del disco: country classico, immortale, suonato da una lista di tre pagine dei migliori session men di Nashville. Tra le sette canzoni ripescate e reinterpretate dal repertorio della Lynn (il lotto di tredici pezzi si completa con un traditional e quattro inediti) spicca una versione totalmente spoken di Coal miner's daughter, forse il pezzo più identificativo della storia di questa vera e propria leggenda americana.

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