lunedì 9 novembre 2020

Hellbound glory, Pure scum

Dietro un oltraggioso titolo da punk rock (non a caso gli Hellbound Glory dichiarano tra le loro influenze, oltre ai "doverosi" Hank Williams Sr e Jr, i Nirvana) torna, a tre anni dal precedente Pinball, la band di Leroy Virgil, una delle migliori e più sottovalutate (forse per la loro provenienza, che non è il Tennessee e nemmeno il Texas, ma il più marginale Nevada) formazioni country USA.

Pure scum, il sesto disco in dodici anni di carriera è il "solito" gioiellino di roots country dalle melodie irresistibili che sovente si intrecciano con testi fortemente debitori all'outlaw, infarciti come sono di temi legati ad esistenze alla deriva, abuso di droghe e quotidiana disperazione. Le carte sono subito messe in tavola con l'opener Ragged but alright, midtempo trascinante che potrebbe diventare la risposta di chiunque di noi alla domanda "come va?" formulata in questi tempi bastardi. Un disco con queste caratteristiche, concedetemelo, non può che raccordarsi vistosamente anche al terzo grado della stirpe hankwilliamsiana, cioè quel Hank III, perso da sette anni in chissà quali abissi esistenziali, che viene evocato nell'attacco di violini di Loose slots, così come nelle liriche di Dial 911 (dal pattern che più classico non si può). 

Il disco è ottimo, qualunque amante del pure country sono certo non se lo sarà fatto sfuggire. Visto che sugli Hellbound Glory ci ha puntato forte Shooter Jennings, qui alla sua seconda volta da produttore, speriamo questa grande band raggiunga la visibilità che merita.

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