lunedì 5 ottobre 2020

It's never too late to mend (un disco del passato mai ascoltato prima): Enuff Z'Nuff, Strenght (1991)


Nuova rubrichetta che, come sempre ricordo quando ne inauguro una, potrebbe terminare oggi stesso o trascinarsi nel tempo. La premessa è che ci sono una montagna di dischi del passato che, per ragioni diverse, non ho mai ascoltato. Ragion per cui mi approccio a loro e alla relativa recensione con orecchie vergini e spirito libero.

Gli Enuff Z'Nuff sono di norma inseriti nell'ambito metal (glam, hair, per la precisione) ma ho sempre avuto l'impressione che da buona parte della popolazione di quel mondo non siano mai stati presi troppo sul serio. Forse per il loro look da figli dei fiori o per la scelta della "mascotte" di riferimento, che non era certo cool, infatti, in un contesto in cui le più famose erano lo psicopatico assassino Eddie degli Iron Maiden o l'iconografico Snagletooth dei Motorhead, gli EZN optarono per un improbabile simbolo della pace. Oppure, molto più probabilmente, la ragione della freddezza del metalhead medio nei loro confronti è da ricondurre al fatto che il glam metal che veniva attribuito al combo era più una sorta di  MacGuffin dentro una strategia stilistica che in realtà traguardava altri lidi.

Basta ascoltare Strenght, secondo disco licenziato dalla band che se la gioca con il successivo Animals with human intelligence per la palma di migliore della loro discografia, per rendersi conto che la canonica grammatica del glam-metal è solo sfiorata, mentre ad emergere è l'enorme amore dei leader del gruppo (Chip Z' Nuff, ad oggi l'unico superstite della formazione originale, con il ruolo fino al 2016 di lead guitar e poi anche quello di voce, e il singer titolare Donnie Vie, che ha lasciato definitivamente il gruppo nel 2013) per i Beatles. Una passione che trasuda in maniera più o meno esplicita in pressochè tutte e quattordici tracce dell'album. Oltre a ciò emerge netta la volontà di non darsi steccati o perimetri stilistici definiti, è così che agli anthem pop metal Heaven or hell o Something for free fanno da contraltare viola, violino e violoncello alla maniera dei Waterboys, nella title track e in Goodbye e mellotron, sempre nella title track e in The way home/Coming home.

Insomma un disco lontanissimo dall'ignoranza e dalla rozzezza di band tipo Motley Crue e Ratt (che ci piacciono, com'è noto) ma ricco di raffinatezza, eleganza e cultura pop. Un disco che arriva sugli scaffali dei negozi negli ultimi giorni che precedono l'esplosione del grunge (Ten, Nevermind e Badmotherfinger, rispettivamente di: Pearl Jam, Nirvana e Soundgarden, usciranno solo qualche mese dopo Strenght) e che anticipa in maniera clamorosa il revival del sound dei Beatles. Purtroppo, come spesso accade, essere troppo in anticipo sui tempi o non avere uno scaffale definito dove collocarsi spesso non paga in termini di consenso mainstream.

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