lunedì 19 agosto 2019

Justified, dalla stagione 3 alla conclusiva 6

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Rayland Givens (Timothy Oliphant) prosegue la sua battaglia contro il crimine nella contea di Harlan, assieme al gruppo di Marshall capitanati da Art Mullen (Nick searcy) e ai colleghi Rachel (Erica Tazel) e Tim (Jacob Pitts). Nell'eterna contesa tra bene e male, Rayland se la vede con buzzurri e criminali di mezza tacca, ma anche con gli esponenti della dixie mafia, che ciclicamente mandano i loro capetti in quell'angolo del Kentucky, dove è sempre presente l'emissario Wynn Duffy (Jere Burns). Senza mai dimenticare Boyd Crowder (Walton Goggins), amico d'infanzia di Givens nonchè suo autentito doppelganger che, tra alterne fortune, rappresenta la minaccia costante del territorio.
Probabilmente una sinossi così superficiale potrebbe non invogliare alla visione di questa serie della Fox, conclusasi nel 2016 alla sesta stagione. E allora, in fase di commento, aggiungerò che questa è una delle serie crime più divertente degli ultimi anni.

Come scrivevo nella recensione delle prime due stagioni, la forza del serial non sta tanto nelle storie, comunque godibili, visto che sono tratte da racconti di Elmore Leonard, e nemmeno in un particolare lato dark o di estremo realismo dei plot (per intenderci, non siamo dalle parti di The Wire o The Shield), ma da una caratterizzazione talmente avvincente di ogni singolo personaggio, da non temere confronti con nessuna altra produzione di analogo genere.
Timothy Oliphand, che ha (irrimediabilmente?) legato la sua carriera al marshall Rayland Givens, continua imperterrito ad avanzare con lo Stetson sempre calato in testa, come se fosse un estensione del suo corpo, e con la mano appoggiata sulla cintura, sempre pronta ad estrarre. Ma questa è solo una componente, a mio avviso nemmeno la più importante, della ricetta vincente di Justified.

I veri trionfatori della serie sono quasi tutti villain, dal padre di Rayland, Arlo (Raymond J Barry) alle famiglie del posto ( i Crowder, i Bennett, i Crow) in guerra una contro l'altra, in una faida che dura da sempre. Poi ci sono i contributi di caratteristi e guest star straordinariamente in ruolo, che sono durati lo spazio di una stagione o magari anche di una sola puntata (Michael Rapaport; Carla Gugino; Mikelty Williamson; Jeff Fahey; Rob Lowe e un meraviglioso Sam Elliott).
Ma sul podio più alto staziona Walton Goggins, che, con Boyd Crowder (dopo Shane Vendrell di The Shield) dà vita ad un criminale affascinante, scaltro e spietato, tanto pronto a togliere la vita altrui quanto loquace, affabulatore e persuasivo, che si prende la scena, stagione dopo stagione e che solo nella conclusione della final season, attraverso un colloquio con una sua vittima (che incarna a mio avviso lo spettatore medio affascinato dal male) mette le cose definitivamente in chiaro sulla sua personalità.
Un gradino sotto nella mia personale classifica colloco l'intrallazzone Wynn Duffy, interpretato da un Jere Burns perfetto nella parte di un criminale in giacca e cravatta imperturbabile e resistente a qualunque situazione avversa, mai impreparato a qualunque twist e dal piano B sempre a portata di mano.

Ma chissà se una popolazione così ampia e convincente di personaggi avrebbe avuto lo stesso successo in un territorio diverso dalla contea di Harlan. Un territorio che un tempo era noto per le sue miniere (famoso fu un lungo sciopero "risolto" dall'apparizione del country outlaw hero Johnny Paycheck), dove lavorava praticamente tutta la popolazione maschile ed ora scenario povero e desolato, nel quale hillbillies e redneck si trascinano in giro, da un bar all'altro, da una droga ad un'altra, senza nessuna possibilità di redenzione.
Ad Harlan tutti bevono bourbon come se fosse un bicchiere di acqua ghiacciata in una giornata di luglio. Tutti girano armati. Tutti hanno un piano per svoltare. Quasi tutti finiscono ammazzati o in galera, ricordando in questo i perdenti cronici, ma non per questo meno pericolosi, portati sullo schermo dai Coen.

Justified è un grande affresco di questa umanità, da vedere rigorosamente in lingua originale, per godere del meraviglioso accento di quelle parti, una cantilena dolce e pigra, che allunga le vocali e impasta le parole (non fosse per questo basterebbe la voce originale di Sam Elliott a giustificare lo sforzo ai meno avvezzi ai sottotitoli).

Ci mancherà.

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