giovedì 7 giugno 2018

Jack White, Boarding house reach



Su una cosa sono d'accordo con l'amico blogger Jumbolo: è difficile farsi un opinione su Jack White, capire se sia un'artista di talento o invece uno che ha semplicemente avuto più fortuna di altri, ugualmente, se non maggiormente dotati. Non sto qui a ricordarne la biografia: i suoi White Stripes avevano colpito gli appassionati con la loro rispettosa contaminazione tra indie e stili classici (blues, errebì, jump blues) resa attraverso una formazione base a due, elettrica e batteria. Poi un susseguirsi di progetti a flusso continuo (Raconteurs, Dead Weather) che più per la qualità dei contenuti (altalenante) si segnalavano per l'urgenza creativa del nostro.
L'esordio solista arriva solo nel 2012 (Blunderbuss), bissato nel 2014 (Lazaretto), entrambi con buoni riscontri commerciali. Personalmente quei dischi li ho ascoltati distrattamente e non sarei in grado di esprimere un giudizio compiuto, al contrario di questo Boarding house reach, la cui realizzazione ha visto Jack sperimentare in totale solitudine con pro-tools e reel-to-reel, suonare vari strumenti (chitarre, organo, piano, batteria, sintetizzatori) oltre che misurarsi nel canonico esercizio di songwriting e interpretazione vocale.
Il risultato finale, lo dico subito, mi ha entusiasmato. 
E per una volta non per ragioni riconducibili alla rappresentazione di un mood classico o retrò, ma per l'esatto contrario. 
Se è infatti vero che la tracklist inizia con due pezzi tra le cose migliori incise dall'artista dopo i White Stripes (il soul di Connected by love e Why walk a dog?, che durante i primi ascolti pensavo fosse una suggestiva cover di What's so funny bout peace, love and understanding?), il motivo del mio apprezzamento è legato alla cifra stilistica complessiva del disco, dentro la quale White non si pone steccati e sperimenta in totale libertà ed indipendenza. 
Dopo il dittico iniziale assistiamo così a composizioni nelle quali l'utilizzo di sample, rdf e mash-up dentro il processo creativo partorisce melodie sghembe, spiazzanti ma, per certi versi, geniali e (almeno per quello che mi riguarda) assolutamente trascinanti. 
Pezzi come Corporation, Hypermisophoniac, Ice station Zebra, Everything you've ever learned o Respect commander  rientrano in una dimensione artistica più vicina all'attitudine hip hop "colto" alla Kendrick Lamar piuttosto che alla tradizione country-rock- blues-rnb patrimonio genetico dall'ex White Stripes. Peraltro, il legame con la moderna black music è suggellato anche dalla presenza di Jay-Z nella traccia Over and over and over.
La chiosa dell'opera, così come la sua apertura, torna al classico, con la ballata What's done is done e Humoresque, arrangiata su una melodia del compositore classico Antonin Dvorak.

Insomma, capisco che per qualcuno Boarding house reach possa essere percepito come uno sterile esercizio di stile da parte di una sopravvalutata rock star. 
Per me è invece un disco sorprendente, libero, coraggioso e stimolante che ha un posto assicurato tra i miei migliori dell'anno.

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