lunedì 19 marzo 2018

La forma dell'acqua

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Con La forma dell'acqua Guillermo Del Toro (regia, soggetto e sceneggiatura) compie ancora una volta un enorme, autentico, appassionato atto d'amore verso il cinema classico, infarcendo il suo ultimo film di elementi che richiamano le opere con cui è cresciuto, filtrate attraverso la classe e lo stile che lo rendono unico e restituite al pubblico.
Data la particolarità della storia, in mano ad un altro regista alcune sequenze avrebbero rischiato la comicità involontaria, e invece Del Toro, grazie ad una messa in scena elegante e una costruzione dei personaggi certosina, rende sempre fluida, naturale la sospensione dell'incredulità.
Nonostante l'handicap del doppiaggio (ma conto di rivederlo in originale), le prove attoriali sono emozionanti: la protagonista Elisa Esposito (interpretata da Sally Hawkins) si ritaglia un posto  nel cuore degli spettatori anche grazie ad uno script che evita di scivolare sui clichè della sua disabilità, dotandola di personalità, passione e, diciamo, esigenze pratiche comuni a tutti (le scene iniziali di lei nella vasca da bagno sono in questo senso un tocco di realismo apparentemente fuori posto nel contesto fiabiesco, e invece rappresentano un colpo di genio). Il suo unico amico e confidente Giles (Richard Jenkins - che per noi è sempre papà Fisher, il capofamiglia impresario funebre di Six Feet Under) è un altro character che sarebbe potuto uscire dalle opere di Billy Wilder, non si trattasse di un omosessuale represso e infelice.
Volendo trovare un difetto nelle prove attoriali, quella di Michael Shannon, interprete che adoro, è forse un pò troppo monodimensionale, i tic e lo stile del suo colonnello Strickland risultano già ampiamente visti, anche se non escludo l'intenzione del regista di rendere di proposito un personaggio con una modalità così "classica".
Ma il capolavoro che compie il film è quello di riuscire ad armonizzare in maniera incredibilmente naturale e spontanea tanti temi diversissimi tra loro con un'amalgama che fa tutta la differenza del mondo tra un mestierante ed un regista di talento. 
Partendo dall'amore dell'autore per la fantascienza dei cinquanta, e in particolare per Il mostro della laguna nera (di cui inizialmente Del Toro voleva girare il rifacimento), il regista costruisce una storia ambientata negli anni cinquanta che tocca disabilità, solitudine, discriminazione degli omosessuali, guerra fredda, spionaggio, arditi esperimenti scientifici, diversità e scelte esistenziali, attraverso un intero spettro di canoni cinematografici (fantascienza, dramma, romanticismo, thriller, spy story, musical). Il tutto con una leggerezza invidiabile, una messa in scena classicissima e una poesia che non lascia mai lo schermo, dai bellissimi titoli di testa alle ultime sequenze con la voce narrante.

The shape of water potrà anche essere accusato di essere il film più ruffiano e meno riuscito di Del Toro, e vivrà anche di tante imperfezioni, ma io ci ho visto un'opera incantevole che ti fa innamorare dei suoi personaggi, di una fotografia e di una messa in scena indimenticabile, in sintesi: del grande cinema.

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