mercoledì 3 gennaio 2018

The Dream Syndicate, How did I find myself here?


I Dream Syndicate non pubblicavano un disco da qualcosa tipo trent'anni. L'ultimo lavoro di studio (Ghost stories) è infatti datato 1988. Da lì in avanti Steve Wynn (leader del gruppo) ha fatto da solo, con risultati artistici quasi sempre apprezzabili, purtroppo costantemente accompagnati da esiti commerciali altrettanto marginali. Da qualche anno Steve ha rimesso in piedi la band per una serie di concerti, con buona parte dell'ultima formazione degli anni ottanta (quindi Duck alla batteria e Walton al basso) e finalmente, a settembre di quest'anno, ha rilasciato anche il "tanto atteso" quinto album dei DS, che si avvale peraltro della prestigiosa ospitata di Chris Cacavas alle tastiere. Per quei pochi che non lo sapessero, Chris era membro dei Green on Red (e poi anche dei Giant Sand), che insieme ai Dream Syndicate hanno composto l'epico binomio di elementi al quale si riconduce il Paisley Underground, sotto-genere rock marginale per molti, amato alla follia da pochi.
Molto si è discusso se How I did find myself here? sia effettivamente un nuovo disco dei Syndicate o l'ennesimo di Steve, dimenticando forse che, a partire dal fenomenale esordio di The days of wine and roses in avanti, la geometria della formazione losangelina è sempre stata di natura variabile, con l'unica costante proprio di Wynn.
Lo dico sempre: prima di esprimere ogni considerazione, perchè non si ascoltano i dischi? Io nel caso di How did I find myself here? l'ho fatto a lungo e questa opera, a prescindere dalla sua effettiva paternità, mi ha pienamente convinto. Non è da tutti un pezzo poetico ed elettrico quale Filter me through you, che apre la tracklist, o le influenze quasi noise/shoegaze che comunque non fanno perdere un colpo alla melodia di Glide e di Out of my head. Onestamente, ad ascoltare queste note non sembra di essere al cospetto di un artista quasi sessantenne che rimette insieme la banda per pagarsi i conti, ma piuttosto di un gruppo di giovani virgulti che scherzano con riverberi e rock and roll, tra Neil Young e Lou Reed.
E nel caso persistano ancora dubbi sulla qualità del lavoro, gli oltre undici minuti della splendida, lisergica, dilatata title track li spazzano immediatamente via. Altrimenti siete fans di Fedez.

Disco emozionale numero tre del 2017 (i primi due sono qui e qui).

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