lunedì 28 agosto 2017

L'ultima parola (2015)


Ci sono film il cui messaggio ha una valenza tale da superare anche la qualità artistica dell'opera stessa. Vicende che è doveroso riportare alla memoria collettiva non solo per restituire, anche se parzialmente, dignità e giustizia a chi ha subito tremende oppressioni, ma anche per ricordare i danni che da sempre la limitazione delle libertà individuali, giustificata con il patriottismo più becero, hanno prodotto e continuano a produrre.
L'ultima parola ha il merito di riuscire a coniugare entrambi gli aspetti: è un ottimo film, con interpretazioni di rilievo, e fotografa in maniera credibile uno dei periodi più neri del dopoguerra U.S.A.: la caccia alle streghe contro i comunisti (reali o presunti) americani, che, partendo da quanti svolgevano le mansioni più comuni, arriva fino ai dorati palazzi di Hollywood, travolgendo registi, attori e sceneggiatori.
Alla fine degli anni quaranta Dalton Trumbo è uno degli sceneggiatori più bravi e richiesti del cinema a stelle e strisce. Purtroppo per lui l'essere iscritto al Partito Comunista Americano (attività di per sé non vietata dalla legge) insieme ad un gruppo di colleghi e amici gli costerà l'esilio artistico, un processo e, dopo vari appelli finiti male, un periodo di reclusione.
A differenza di altri nelle sue condizioni però, una volta fuori di galera Dalton (interpretato da un Bryan Cranston in parte) non si dà per vinto e, essendo finito nella famigerata lista nera hollywoodiana ai cui nomi non è più permesso lavorare, comincia a scrivere sceneggiature a getto continuo per una casa di produzione di serie B guidata da Frank King, (un John Goodman come sempre irresistibile), attività nella quale coinvolgerà altri amici sceneggiatori lasciati ai margini per la stessa discriminazione politica.
L'acerrima rivale di Trumbo e dei reietti denominati con disprezzo dalla stampa "The Hollywood 10", è soprattutto la potentissima giornalista Hedda Hopper (una Helen Mirren perfidamente spettacolare) spalleggiata da un gruppo di produttori, registi ed attori reazionari capeggiati da John Wayne e Ronald Reagan.
Anche in queste condizioni di clandestinità Trumbo riesce a produrre script eccezionali che gli valgono, dietro l'utilizzo di pseudonimi o di amichevoli prestanome, due Oscar per i film Vacanze Romane e La più grande corrida. Ci vorrà il coraggio di attori e registi influenti (Kirk Douglas e Otto Preminger) per riportare il lavoro di Dalton fuori dall'oscurità fino al meritato riconoscimento pubblico.

E' lodevole il tentativo del regista Jay Roach e dello sceneggiatore John McNamara (che si è ispirato all'autobiografia di Trumbo scritta da Bruce Cook) di eludere il rischio agiografico. In questo senso mostrare il comportamento di Trumbo con i compagni, sempre un po' retorico e pieno d'enfasi, e, soprattutto con la famiglia, dove per lunghi tratti vive da separato in casa, sigillato nel suo studio o nella vasca da bagno (attrezzata da studio) a scrivere in continuazione lontano dalle gioie familiari, ci consegna un personaggio anche scostante, presuntuoso, egoista, che verosimilmente si avvicina molto alla figura reale dello scrittore.
Il cast, oltre agli attori già citati, è sontuoso: cito per brevità la sola Diane Lane, mio primo amore di celluloide ai tempi di Streets of fire, che non ha perso un grammo del suo fascino, e il comico Louis C.K., qui alle prese con un ruolo drammatico.

Nonostante L'ultima parola affronti un tema che poteva essere trattato con ben altra profondità e senza lieto fine, visto che in quella maledetta stagione l'happy handing era la clamorosa eccezione, mentre la regola era la rovina assoluta per le persone coinvolte da questa o quella commissione anti-comunista, il film raggiunge un suo equilibrio tra dramma e leggerezza, permettendo l'approccio agli argomenti trattati ad un pubblico più vasto di quello che rischiava di essere invece rappresentato dai soli vecchi comunistacci pieni di rancore come il sottoscritto, che hanno perso la voce a forza di raccontare questa pagina nera della democrazia americana a chi non ha mai voluto ascoltare.

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