lunedì 22 maggio 2017

The Mavericks, Brand new day


Una lista pressoché infinita di generi musicali, legati insieme dal gusto per la musica retrò. Questo è l'elemento costante che inevitabilmente si trova su qualunque recensione che vuole dare un'idea del sound dei Mavericks.
Si va dunque dalla rumba al tex-mex, dal cubano al croonering, dal soft rock alla cumbia al country al rock and roll allo swing all'elegante pop dei sessanta e chi più ne ha...
Impostazione giornalistica ineccepibile, sulla quale anch'io mi sono ampiamente misurato con i miei post precedenti sul gruppo e sul singer Raul Malo (sono tutti qui), ma l'aspetto che ogni volta lascia sbalorditi è la capacità della formazione di comporre brani nuovi talmente convincenti che sembrano standards affermati, ripescati da repertori dimenticati di artisti del passato.
Anche in Brand new day (terzo album in quattro anni), se non si fosse capito, il cielo notturno dell'ispirazione dei cubano-americani si illumina a giorno. C'è tutta la magia dei Mavericks nel suono di frontiera, banjo e fisarmonica, dell'opener Rolling along, insieme al tentativo forse un po' autoreferenziale di riacciuffare la via mainstream attraverso l'arioso soft rock della title track, ad un tuffo nel più genuino entusiasmo fifties del Rat Pack con Easy as it seems, alla scossa dei ritmi cubani con l'irresistibile Damned (If you do) e la nostalgia per Roy Orbison con I will be yours.
Altro tema ricorrente, dal quale è altrettanto difficile affrancarsi, è quello della festa. Una festa caciarona e multietnica, nella quale bisogna conoscere diversi stili di ballo per non fare da tappezzeria e nella quale si ha la certezza che al momento giusto arriva il momento dei lenti nel quale giocarsi la chance con l'altro sesso.
Insomma, è dannatamente difficile uscire dai temi ricorrenti che ci vengono in soccorso quando parliamo dei Mavericks, molto più semplice è affidarsi alle sapienti doti dei quattro e concedersi, con quaranta minuti di musica, un pirotecnico giro del mondo.

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