lunedì 31 ottobre 2016

Sturgill Simpson, A sailor's guide to earth


In meno di quattro anni e tre album Sturgill Simpson ha compiuto una traiettoria artistica che, soprattutto per gli artisti nati in ambito country, altri non hanno compiuto nemmeno in trent'anni di carriera. E l'aspetto più stimolante è che si percepisce netta la sensazione che questa voglia di esplorare la musica a tutto tondo non sia ancora sopita.
Recensendo l'esordio discografico High top mountain, nel chiosare prevedendo l'approdo a lidi artistici che travalicassero la musica per bifolchi (detto con l'affetto di chi adora il country) non vestivo i panni improbabili del veggente, semplicemente mi sembrava palese la capacità potenziale di Simpson di travalicare i generi. 
Il tempo mi ha dato ragione, e oggi, dopo le derive acido-psichedeliche dell'ultimo Metamoderns sound in country music, A sailor's guide to earth (tra titolo dell'album e copertina si fa a gara per l'intuizione più suggestiva) compie un ulteriore passo in avanti verso l'affermazione della poliedricità del nativo del Kentucky.
Questo lavoro si attesta infatti su canoni di una libertà espressiva che rimanda direttamente ai periodi sperimentali del folk anni settanta, con in più un quid di soul e improvvisazioni d'ispirazione jazz che vanno a comporre una affresco bizzarro e fricchettone, ma senza dubbio unico e affascinante.
Il mood del disco non solo cambia da traccia a traccia, ma anche nell'ambito della singola composizione possiamo imbatterci in repentini stravolgimenti della struttura-canzone, come succede nell'opener Welcome to earth (Pollywog), che parte ballata pianistica, ma a metà timing si trasforma in un classico soul old school. Dopo un interludio introspettivo degno del miglior Ben Harper (Breaker's roar), con Keep it between the lines si passa addirittura a canoni funk: basso slappato, sezione fiati e uno sborosissimo solo di sax che chiude il pezzo sfociando direttamente nel successivo Sea stories (dove si riaffaccia il canone country).
Ma è inutile girarci attorno, l'intuizione che fa saltare sulla sedia non risiede nel novero delle composizioni originali, bensì nell'unica cover presente nel lotto. Con la reinterpretazione di In bloom dei Nirvana (vale la pena ascoltarla) infatti, Sturgill regala una lectio magistralis su come si realizzi una cover: stravolgendola ma conservandone appieno il senso.
Call to arms chiude il lavoro indossando con cazzimma un ulteriore nuovo abito, quello di un torrido southern tutto slide guitar e honky tonk piano, che, per non rassicurare troppo l'ascoltatore, alla fine tracima nell'errebì.
L'ultima dimostrazione di come questo artista fugga da qualunque recinto o classificazione, seguendo esclusivamente il suo istinto e la sua camaleontica sensibilità musicale.
 
A countryman guide to modern music.

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