In tutta onestà, sulle prime, dopo aver letto le recensioni degli amici blogger Ale e Filo ed essendomi del tutto riconosciuto nelle loro considerazioni, mi è parso inutile sforzarmi di dire qualcosa di mio in relazione a Sonic highways dei Foo Fighters.
Se ho successivamente cambiato idea è solo perchè mi sembrava giusto segnalare anche da queste pagine un disco tra i più importanti ed attesi dell'anno, le cui canzoni non s'impongono istantaneamente ma richiedono tempo e pazienza per emergere.
Proprio come i veri classici.
Proprio come i Foo Fighters, che sono cresciuti esponenzialmente album dopo album, divenendo, verrebbe da dire loro malgrado, uno dei più importanti punti di riferimento della musica rock americana. A differenza di altre band però, quella di Dave Grohl appare totalmente consapevole del ruolo ereditato e nel caricarsi il pesante onere sulle spalle non perde la bussola ma compie un'operazione ambiziosa (senza apparire pretenziosa o megalomane) tracciando una traettoria che collega otto città degli states ad altrettanti storie, raccontate attraverso documentari da un'ora ciascuno diretti dallo stesso Grohl e dalle otto tracce che compongono la release.
Purtroppo al momento di scrivere sono riuscito a vedere solo tre dei documentari (sono trasmessi dalla HBO con cadenza settimanale) che accompagnano i pezzi, ma mi sembra di poter affermare che il rischio agiografia è stato elegantemente superato e che l'attenzione del regista si concentra su territori e artisti determinanti per la crescita musicale americana e su come essi abbiano influenzato se stesso e la sua band.
Tornando al disco, anche qui si percepisce un respiro più ampio, un affrancarsi dal rock più diretto e stadaiolo del passato, senza però rinunciare all'empatia e alla tradizionale, contagiosa energia del gruppo.
Something for nothing, che apre il lavoro, in virtù di un inizio lento e della deflagrazione del ritornello solo nella parte conclusiva, coniuga efficacemente vecchi e nuovi Foo Fighters, che comunque poco più avanti si riappropriano della loro piena identità in Congregation (ospite Zac Brown), all'interno della quale fa bella mostra un break strumentale alla Deep Purple mark II.
I miei pezzi preferiti una volta tanto sono anche quelli più lunghi, ed arrivano in coda all'album: i quasi quindici minuti di melodia e accelerazioni di Subterranean e I am a river condensano in maniera emozionante vent'anni di passione in musica, ponendo il sigillo a quello che di certo è un punto d'arrivo e ripartenza importante per una band rigorosa che ha sempre dato l'impressione di raggiungere i suoi enormi traguardi con naturalezza e senza sforzo.
Di certo non è così, ma anche questa è una caratteristica dei grandi.
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