martedì 2 settembre 2014

Donato Carrisi, Il suggeritore

 
 
Nel genere letterario del noir il filone dei serial killer è da tempo abbandonato dagli autori più importanti (che di norma l'hanno usato come fase di transizione per arrivare a temi più sviluppati) e, pur essendo una vena che continua a riscuotere vasto interesse, è ormai relegato ad una sorta di limbo o di seconda fascia che si rivolge esclusivamente ad un pubblico di affezionati, fidelizzato anch'esso alla serialità delle uscite dei personaggi creati dai vari Deaver, Cornwell, Reichs e compagnia bella.
Gli italiani che si sono misurati con il genere non si sono mai del tutto scrollati di dosso gli schemi narrativi dei maestri americani peccando spesso di poca originalità, per questo ho sempre guardato con sospetto l'enfasi dietro le loro (poche) opere di successo.
Ecco perchè, sebbene appassionato di thriller/noir, nel 2009 non mi sono scapizzato a leggere Il suggeritore, opera prima di Donato Carrisi molto apprezzata dalla critica e venduta in più di un milione di copie, con i diritti acquistati da mezzo mondo e in attesa di trasposizione cinematografica negli USA.
L'ho fatto solo qualche settimana fa approfittando di un week-end in montagna, nella consapevolezza che l'unico modo di riprendere la lettura sarebbe stato quello di dedicarmi ad un titolo che mi inchiodasse. Proposito raggiunto, visto che ho divorato le oltre quattrocento pagine del libro in meno di tre giorni.
Merito di opera che nasce da uno spunto interessante (la sparizione di sei bambine) ma facile da buttare nel cesso in mano ad uno scrittore che avesse puntato tutto su di un forte impatto iniziale ma con poca originalità nel gestirlo. Carrisi invece, seppur con qualche passaggio nel quale chiede un faticoso supplemento di sospensione dell'incredulità al lettore, costruisce un meccanismo ad orologeria strepitoso, nel quale i progressi compiuti dalla squadra di investigatori marciano di pari passo con lo schema architettato dal subdolo criminale, per arrivare ad una serie di colpi di scena finali che sfido anche il più sgamato dei lettori ad anticipare o prevedere.
Certo, parliamo di un romanzo d'evasione, ma scritto con tutti i crismi, la competenza e il taglio cinematografico (non a caso Carrisi si è occupato di anche sceneggiature) che si richiede ad opere di questa natura. Consigliato.

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