giovedì 19 giugno 2014

Matt Woods, With love from Brushy Muntain

Matt Woods – With Love From Brushy Mountain (2014) [MP3]

Il mainstrean country americano si aspettava molto dal nuovo disco di Eric Church, così come quello indipendente/outlaw attendeva con impazienza il ritorno di Bob Wayne. Beh, in questo settore musicale specifico può anche capitare che, contemporaneamente, la nuova star country (Church, appunto) sforni un disco confuso e pasticciato, letteralmente senza capo ne coda e che lo spirito anarcoide insito nel country di Wayne esca molto annacquato dai solchi della nuova release Back to the camper. Capita allora che i riflettori del sincero appassionato di redneck music si spostino verso altri obiettivi. Sturgill Simpson per esempio, che solo l'anno scorso ci aveva fatto godere con l'ottimo esordio High top mountain e che ha già sfornato un secondo lavoro, ma, soprattutto, e finalmente arrivo al motivo del post, Matt Woods, autore che ho scoperto di recente grazie al pezzo Deadman's blues (inserito nelle mie migliori canzoni del 2013) e che, con With love from Brushy Mountain, si dimostra artista versatile e raffinato, decisamente a disagio nel recinto limitato del country e capace invece di abbracciare con successo sia il folk indipendente che quello più commerciale con qualche incursione nel southern più spontaneo e vibrante.

Il risultato è un disco incantevole che nell'ultimo mese, nell'ambito della mia playlist, non ha fatto prigionieri. A cominciare dalla eaglesiana Ain't no living, propedeutica ad introdurci nel mood di frontiera dell'album, per proseguire poi con West Texas wind, che accarezza dolcemente lo spirito di Gram Parsons e passando per Tiny anchors, meravigliosa ed accorata introspezione tra i Mumford & Sons e Bon Iver, tutto è al posto giusto, in un contesto di grande bellezza che sfiora la magia e che si verifica solo con i grandi artisti.
Anche la quota drinkin song, da intonare rigorosamente con boccale alzato e sguardo assente, è rispettata: Woods ci consegna infatti una Drinking to forget che richiama clamorosamente le atmosfere di Steve Earle, collocandole in un testo che è tutto un programma ("I'm drinking to forget/How drunk I got last night").Questo inno alla morte per coma etilico è però piazzato strategicamente prima della corazzata Deadman's blues (qui il video, molto esplicativo dei contenuti del pezzo) che sui temi degli eccessi e della vita border line riesce a fare un'autocritica lucidamente spietata che, di fatto, compensa i contenuti della traccia precedente. Siamo esattamente a metà disco e l'euforia ha già raggiunto livelli di fanatismo: l'esperienza ci fa temere un crollo fisiologico, ma la meravigliosa title track, che torna a tributare il songwriting di Don Henley e l'infuocato southern di Real hard times spazzano via ogni  residuale perplessità sulla qualità dell'opera. 
In coda rimane spazio per un altro gioiellino: Lucero song è infatti esattamente quello che sembra: una sincera e suggestiva celebrazione dell'ottima band di Ben Nichols conterranea (del Tenneessee) di Woods, giunta al terzo lustro di attività e ancora in grado di infiammare il pubblico grazie alla suo brand musicale che attraversa tutti gli spettri più genuini del genere americana. Si capisce che Matt Woods tende artisticamente a quell'esito. Musicalmente ha ancora spazi di crescita, ma dal punto di vista della scrittura non teme rivali.

 Che ve lo dico a fare? Ad oggi, senza esitazione, disco dell'anno.

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