mercoledì 29 gennaio 2014

The Newsroom, stagione uno


Ecco, capisco che un autore come Aaron Sorkin possa dividere. Ma mica poco eh. Proprio tracciare un solco profondo tra estimatori e critici. Lo dico avendo visto, di suo, solamente questo The Newsroom e nulla della vasta produzione ad esso antecendente (che per la televisione risponde principalmente al nome di Sports Night e The West Wing) ma rimanendone ugualmente spiazzato. Poi mi hanno spiegato che lui lavora così: alternando cioè momenti di grande spessore ad incursioni nel sentimentale più cheap nonchè nella lacrima facile, e mi sono rassegnato.
In The Newsroom la prima vocazione di Sorkin si traduce in una critica feroce ma sempre brillante ed argomentata alle reti all news e al sistema di informazione americano in genere. Un misurato ma spettacolare Jeff Daniels interpreta Will McAvoy, anchorman di punta della Atlantic Cable News, repubblicano convinto ma molto critico verso l'ala più radicale del partito (il cosiddetto tea party) e quindi verso la deriva atrocemente populista da loro intrapresa. 
L'orientamento meno raffinato dello sceneggiatore si manifesta invece nel suo tratteggiare personaggi femminili che sanno alternare esclusivamente profili smorfiosetti ad atteggiamenti sempre sull'orlo dell'isteria, risultando così poco credibili e, alla lunga, irritanti. Allo stesso modo risultano poco plausibili e fastidiose le storie d'amore belle ma costantemente impossibili che infarciscono la struttura del serial.

Ad ogni modo, se volete la mia opinione, fatta la tara dei difetti, il saldo della bilancia è ampiamente in attivo. Lo stratagemma di usare una personalità televisiva dichiaratamente di destra permette agli autori di spingere a fondo il pedale della critica verso il republican party (e le lobby che lo sostengono) senza risultare troppo di parte. 
Un esempio su tutti dell'ottima commistione tra vero e finzione: in un episodio McAvoy/Daniels propone ai candidati alle primarie repubblicane un dibattito vero, con approfondimenti che vadano oltre la stantia sloganistica di queste occasioni, prevedendo di incalzarli sulle loro contraddizioni con lo scopo di far emergere dalla sfida le personalità più autorevoli del partito e pertanto meglio attrezzate a sfidare Obama. Ovviamente di fronte alla proposta i portavoce dei candidati fuggono a gambe levate e così, quando su un'altra rete va in onda il dibattito (realmente trasmesso in America), dove la domanda di punta del conduttore ai candidati è chi preferiscono tra Johnny Cash e Elvis Presley, appare chiaro che ogni Paese ha il suo Bruno Vespa.

Sono già proiettato verso la seconda stagione.





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