lunedì 21 ottobre 2013

Arctic Monkeys, AM


Una delle ragioni per cui non mi considero un esperto musicale ma semplicemente un appassionato compulsivo, è che non posseggo una cassetta degli attrezzi adeguata ad affrontare ogni tipo di recensione. Prendiamo l'indie pop, per esempio. Per quanto mi sia sforzato di entrare nello spirito delle numerose new sensation delle band (perlopiù) inglesi che hanno affollato le pagine delle riviste musicali nell'ultimo decennio, proprio non riesco a far entrare questo genere nel mio radar, a parlarne disinvoltamente e di conseguenza a scriverne in maniera onesta. Dal mare nostrum di band che ho regolarmente ignorato si salvano però gli Arctic Monkeys (ai quali ho dedicato una delle mie playlist monografiche), che, da subito, con la loro proposta sono riusciti ad attraversare la mia coltre di ostinata indifferenza.

Il combo di Sheffield, nonostante la giovane età e la carriera relativamente breve (il debutto Whatever peolple sai I am, that's what I am not è del 2006), con questo AM (acronimo del nome della band) sono giunti al quinto album. E ci sono arrivati, a mio parere, in uno stato di forma e di maturazione artistica eccellente. Lo si capisce subito dall'uno - due piazzato in apertura con Do I wanna know e R U mine? dove la voce di Alex Turner e il brand del gruppo risultano, oltre che riconoscibilissimi, trascinanti e non autoreferenziali.
Nell'alchimia del sound Arctic Monkeys l'elemento vincente sta nel passare con disinvoltura dal funk al rhythm and blues, accarezzando la dance e il pop d'autore, il tutto mentre Turner passa agevolmente dal tono confidenziale al falsetto. Arabella e I want it all sono altri highlights  disseminati nella tracklist, anche se i pezzi che mi hanno letteralmente conquistato sono quelli preposti ad abbassare le battute, strategicamente piazzati a metà disco.
N° 1 party anthem è il primo. Non è facile, al giorno d'oggi scherzare coi Beatles e risultare credibili. Troppi i tentativi maldestri compiuti impunemente nel recente passato, nonostante ciò i ragazzi, sarà l'incoscienza o la sicurezza dei propri mezzi, si buttano nell'impresa e, manco a dirlo, portano a casa il risutato. Pezzo della madonna, la cui qualità viene comunque quasi raggiunta dal successivo Mad sounds (pezzo della madonna 2).
Va invece catalogata sotto la voce: suadente con ritmo Why'd you only call me when you're high? (bisognerebbe prima o poi dire qualcosa sulla genialità dei titoli che i quattro riescono a coniare), mentre le liriche di I wanna be yours, il lento (ancora una volta vincente) che chiude il lavoro, sono del poeta punk John Cooper Clark.

Ribadita la premessa iniziale sulla carenza dei miei requisiti specifici, un gran bel disco.

7,5/10

3 commenti:

  1. interessante. i due pezzi peggiori per te sono i migliori.
    mi toccherà riascoltarli.

    RispondiElimina
  2. Gran bel disco, il migliore degli Arctic Monkeys. Do I wanna know una vera droga.

    RispondiElimina