C'è chi dice che la grande stagione dell'AOR americano sia stata spazzata via dal grunge, nei primi anni novanta. In realtà credo che sua formula avesse cominciato a mostrare la corda anche prima che raggiunsero il successo Soundgarden, Nirvana, Pearl Jam and co. Dentro l'Adult Oriented Rock (o Album Oriented Rock, che dir si voglia) convivevano decine di stili ed influenze, ma in campo hard rock due erano i filoni principali: quello che si rifaceva ad uno stile patinato, non lontano dal pop, con molte tastiere e cori a profusione, e quello più tecnico/muscolare, che riusciva a coniugare una certa durezza dei suoni con una perfetta fungibilità radiofonica.
I Winery Dogs appartengono senza discussione a questa seconda branchia stilistica. La band, formatasi a New York l'anno scorso, è quello che si definisce un supergruppo, visto che il trio annovera al suo interno il chitarrista/cantante Richie Kotzen (una lunga carriera da session man ed ex membro di Poison e Mr. Big); Mike Portnoy (batterista dei Dream Theater e per un paio di album degli Avenged Sevenfold, con molte partecipazione collaterali al suo attivo) e, soprattutto, Billy Sheehan, bassista che adoro, e che in passato ha suonato con David Lee Roth, i Mr Big, lo stesso Kotzen e diversi altri.
Nelle parole dei suoi componenti, l'album è un raccordo tra i grandi gruppi dei settanta come i Grand Funk Railroad, gli Zeppelin, i Cream e quelli dei novanta, come i Soundgarden, i Black Crowes o gli Alice in Chains. In tutta onestà,pur apprezzando il lavoro, mi trovo d'accordo solo parzialmente con questa sinossi. La riscontro sicuramente nella perizia tecnica, ma meno nelle composizioni, laddove a prevalere è invece un hard-rock potente ma arioso e sempre radio friendly, con l'equalizzatore dei singoli strumenti tarato bello alto e tanti pezzi che avrebbero sicuramente proiettato il lavoro nelle parti altissime della classifica. Se fossimo nel 1989.
Il self titled si apre con Elevate, che subito definisce le regole del gioco: un rock poderoso, con una grande attenzione alle parti vocali e con un interpretazione al microfono da parte di Kotzen che mi stupisce due volte, perchè non sapevo che l'axeman cantasse e che lo facesse in maniera così convincente, poi. A seguire Desire un massiccio funk-rock che, posso dirlo?, mi riporta alla mente i trascurati Dan Reed Network. Tutta la prima parte dell'opera è un fiume in piena che fa la felicità degli adepti del genere, non ci sono flessioni o momenti di calo, la ballad di rigore (I'm no angel) è piazzata alla posizione numero quattro della tracklist, dopo l'eccellente We are one e prima della doppietta Other side, forse la mia preferita del lotto, e You saved me che richiama i meno virtuosi ma sempre ottimi Whitesnake. Un altro gruppo che amo alla follia e che non è mai riuscito ad emergere in tutto il suo valore sono gli inglesi Thunder, a mio avviso clamorosamente omaggiati dai tre con One more time.
Le pirotecniche montagne russe rappresentate dai pezzi più scatenati dell'album si prendono una pausa solo verso la parte conclusiva del disco, con pezzi tendenti al lento o al midtempo, come l'ulteriore richiamo al Serpente Bianco di Coverdale rappresentato da Criminal, Dying (la traccia maggiormente seventies dell'intera raccolta) o Regret, preposta al commiato dell'opera.
Non sappiamo quanto i rapporti e i rispettivi impegni personali di Sheehan, Portnoy e Kotzen lascino spazio alla continuità di quest'avventura, potrebbe seguire il fulgido esempio dell'altra all-star band Black Country Communion, oppure,viceversa, dissolversi all'orizzonte. Il risultato non cambierebbe la sostanza. Sebbene derivativo (ma non dimentichiamo che uno come Billy Sheehan ha contribuito a scriverla, la storia dell'AOR), The Winery Dogs resta un ottimo lavoro che non mancherà di infiammare i cuori dei fan di monicker come Mr. Big, Bad English, Van Halen, Whitesnake e tutto il resto di quella ciurma. Ecco, se nel leggere questi nomi vi viene la psoriasi passate oltre, in caso contrario questo album fa per voi.
7,5/10
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