Avevo tralasciato di scrivere la recensione della terza stagione di Game of thrones. Inizialmente per farlo decantare un pò, ma successivamente, lo confesso, per dimenticanza. Poi giusto ieri mi è capitato di leggere su una rivista di cinema (Best Movie) che in America uno dei nomi più utilizzati dalle neo mamme è quello di Khaleesi (in realtà non si tratta di un vero e proprio nome ma di un "titolo" assegnato a Daeneris Targryen) e allora ho pensato di poter usare questa silly news come gancio per buttare giù queste due righe.
Già, è incredibile come questa serie tv sia passata in un batter d'occhio dall'essere un'intuizione ardita, una scommessa ambiziosa a forte rischio default (per il costo della produzione di un'opera in costume) al raggiungimento di una notorietà planetaria, propria dei prodotti televisivi che lasciano un segno sulla storia e sulla cultura popolare.
E il bello è che, essendo il soggetto tratto da una serie di romanzi, abbiamo la ragionevole certezza che, a differenza di altra fiction partita alla grande e poi collassata, non assisteremo a cali di creatività o di tensione nello sviluppo delle stagioni. Mentre il lato negativo di quest'aspetto è che bisogna attendere che George R.R. Martin, autore dei romanzi, noto per la lentezza con la quale compone le sue opere, concluda la saga, al momento sospesa al quinto su sette volumi previsti. Noi spettatori del serial siamo comunque tranquilli, visto che il materiale a disposizione dovrebbe coprire come minimo altre tre-quattro annate televisive.
La terza stagione dunque. Si ricomincia con la sonora bastonata presa da Stannis Baratheon, legittimo erede al trono usurpato dai Lannister, nella battaglia delle acque nere. Nonostante l'artefice della vittoria della casata al potere sia Tyrion il nano, non c'è gloria per lui, prima confinato ai margini del castello, e poi destituito dalla carica di primo cavaliere dal padre Tywin. Gli Stark continuano invece ad essere divisi per i sette regni: Catelyn insieme a Robb sui campi di battaglia; Arya alla ricerca della via di casa; Jon Snow arruolato suo malgrado nell'esercito di Mance Rayder e Bran con il fratellino da qualche parte a nord. Mentre il potere di Daenerys Targaryen cresce contestualmente allo svezzamento dei suoi draghi e Theon Grevjoy paga un prezzo tremendo per le atrocità commesse nella stagione precedente, la parte migliore del telefilm è unanimamente considerata quella di Jaime Lannister, per il quale la penna di Martin ha creato un evoluzione impensabile ed emozionante.
Come da abitudini ormai consolidate, il picco di stagione, il momento più autenticamente sconvolgente dei dieci episodi che trasportano sullo schermo la prima parte del terzo libro de Le cronache del ghiaccio e del fuoco, è quello racchiuso nella puntata numero nove, ormai universalmente nota come The red wedding. In quelle immagini è racchiusa tutta la subdola maestria di cui è capace Martin, la sua abilità nel gestire in maniera spietata i characters considerati più moralmente virtuosi, che è l'altra faccia della medaglia di come lo scrittore gioca con i presunti villain, mostrati prima nella loro natura più brutale e perfida, e poi spogliati di ogni arroganza, fino al punto di trasformarsi nei prediletti del pubblico. E' il caso ovviamente di Jamie Lannister, la cui catarsi, il cui tormento, la cui metamorfosi è magnificamente interpretata da Nikolaj Coster Waldau (nell'immagine in alto).
Naturalmente quando un serial raggiunge la notorietà e l'impatto culturale di GoT, espone il fianco anche alle critiche più feroci. Personalmente ne ho lette di tutti i tipi, e devo dire che sebbene qualcuna muovesse da un fondo di ragione, le trovate tutte alquanto pretenziose, un pò da nerd che dibattono furiosamente in compagnia di Comic Book Guy nel Sotterraneo dell'Androide.
Che posso dire? Sarò anche acritico, ma io me la sono semplicemente goduta, questa terza stagione di Game of thrones, e anche alla grande.
L'unico problema in effetti è la scimmia dell'attesa per la quarta stagione, che già mi ha preso e che non mi mollerà ancora per molti mesi.
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