Milano, Alabama 15 luglio 2013
Bizzarro come vanno le cose. Programmi di vedere un concerto con mesi di anticipo e tutto congiura contro per fartelo saltare, poi scopri con un preavviso di pochi giorni che un tuo pupillo suona a Milano e in tempo record riesci ad incastrare perfettamente genitorialità e tempo libero, in modo da potertelo godere. Questa è la premessa al mio concerto di Bob Wayne, illustre componente di quelli che definisco i Big Four dell'independent outlaw country americano (gli altri sono Hank III, Wayne Hancock e Joe Buck), del cui show al Lo-Fi di Milano mi sono avveduto casualmente solo martedì scorso, riuscendo a cogliere l'occasione al volo.
Bizzarro come vanno le cose. Programmi di vedere un concerto con mesi di anticipo e tutto congiura contro per fartelo saltare, poi scopri con un preavviso di pochi giorni che un tuo pupillo suona a Milano e in tempo record riesci ad incastrare perfettamente genitorialità e tempo libero, in modo da potertelo godere. Questa è la premessa al mio concerto di Bob Wayne, illustre componente di quelli che definisco i Big Four dell'independent outlaw country americano (gli altri sono Hank III, Wayne Hancock e Joe Buck), del cui show al Lo-Fi di Milano mi sono avveduto casualmente solo martedì scorso, riuscendo a cogliere l'occasione al volo.
Arrivo al Lo-Fi Club di Milano intorno alle 21:30, cioè l'orario indicato per l'inizio del concerto, il posto è alla fine di una strada senza uscita che corre parallela ai binari della ferrovia (la stazione di Rogoredo è a due passi). Lo spazio è abbastanza piccolo (e questo per i miei parametri è un bene) e c'è davvero pochissima gente, non più di una ventina di persone, che scoprirò poi essere in gran parte componenti delle band italiane di supporto con amici/fidanzate a seguito. Il palco non è molto grande (diciamo che in cinque si sta stretti) ne molto alto (a occhio e croce sfiora il mezzo metro). Come da programma, è allestito anche un barbecue dove si arrostiscono hamburger e porchetta, ma io, che sono arrivato sul posto "già mangiato", lo ignoro e, assecondando le mie abitudini, mi dirigo invece al banchetto del merchandising, dove spendo un quindici euro per il cd Till the wheels fall off, titolo che a suo tempo avevo già consumato (l'avevo piazzato terzo nei migliori del 2012) ma che mi sento obbligato a comprare. Le mie radici democratiche (inteso come partito d'opposizione ai repubblicani USA) mi fanno desistere invece dall'acquisto di una splendida maglietta nella quale Bob imbraccia un fucile sotto la scritta "Bob Wayne doesn't call the 911".
Sapendo che il concerto si sarebbe svolto all'aperto mi ero premunito portandomi appresso l'Autan d'ordinanza, ma niente avrebbe potuto prepararmi al micidiale assalto di zanzare che con gli altri presenti subisco ininterrottamente fino al calar del sole. In pratica un massacro. Per ammazzare la noia mi prendo una bionda, nemmeno il tempo di assaporarla ed eccolo lì mr Wayne, che fa il soundcheck e suona quasi per intero Till the wheels fall off. Saluto facendo cenno con la birra, canticchio il ritornello, lui ricambia con un gesto della testa.
Al termine delle prove Bob mi raggiunge indicando la mia t-shirt di Hank III, mi saluta, e dopo qualche convenevole ("These mosquitos suck!") si fa un giro col mio Autan. A vederlo da vicino il signor Wayne è un tipo alquanto bislacco, barba lunghissima che lui non manca mai di accarezzare, occhi spiritati, passo incerto, mole che lo fa sembrare un pò goffo, grande simpatia. Per tutto il tempo che lo separa dalla sua gig (che sarà molto, visto che inizierà quasi a mezzanotte) continuerà ad aggirarsi tra la gente scambiando parole e tirando sberloni sui coppini altrui con la scusa di schiacciare zanzare. Una sagoma d'uomo.
Verso le dieci e mezza attacca il primo gruppo spalla, si tratta degli italiani Iron Mais, che, sulle orme degli Hayseed Dixie, propongo cover di noti pezzi rock reintepretati in salsa blugrass al fulmicotone. Tra le altre, ad assere omaggiate dal trattamento dei ragazzi, Ace of spades dei Motorhead, Enter sandman dei Metallica, Paradise Ciry dei GnR, ma anche Touch me di Samatha Fox (!!!) e El Diablo dei Litfiba, presentata col titolo di "18" per via del ritornello che fa sei,sei,seiiii (diciotto!) e Anarchy in the UK. Un combo divertente, al limite del demenziale, ma di buon intrattenimento.
Diverso il discorso per gli Hell Spet, band bresciana con all'attivo già diversi lavori, che propone un country/psychobilly devastante, orientato alla velocità e ai cambi di tempo. Schierati con una formazione che prevede tre chitarre, batteria, banjo e contrabbasso, i ragazzi pestano giù veramente duro per tutto il loro set, fino al deflagrante finale con i brani Dynamite e Hell Spet. Davvero ammirevoli per il coraggio di portare avanti una proposta così fuori posto sull'italico suolo e meritevoli di platee diverse, magari giù, a sud degli states.
Come anticipavo, è quasi mezzanotte quando giunge il momento degli Outlaw Carnies e del loro leader Bob Wayne, sotto il palco saremo poco più di una cinquantina di persone ma l'omone non si perde d'animo e scarica una bella dose di adrenalina con una partenza pirotecnica: Till the wheels fall off; There's no diesel trucks in heaven e poi Love songs suck e la scatenata Everything's legal in Alabama. Vista l'estrema confidenza venutasi a creare (dopo aver chiaccherato e scherzato con noi per un paio d'ore, volendo il cantante avrebbe potuto chiamarci tutti per nome) e l'assenza di barriere o di distanza minima dal pubblico, il botta e risposta tra noi e lui è una divertente costante della serata (tormentone assoluto l'unica frase in italiano che probabilmente l'americano conosce: "whiskey per tutti! Pago io!" seguita però da un eloquente dito medio alzato che sta per "si, col cazzo").
Sul palco il countryman è accompagnato da chitarra, contrabbasso,batteria e violino ma non dal banjo e questa cosa un pò mi stupisce. Il chitarrista è un vero manico, siamo tutti rapiti dal suo stile e dalla velocità dei suoi solo, mentre l'atteggiamento è molto distaccato e cool, a muoversi infatti sono solo le mani visto che per il resto non solleva nemmeno un sopracciglio per tutta la durata del concerto. Al violino l'unica ragazza che sale le assi del palcoscenico nell'intera serata, le sue parti sono determinanti per il sound della band.
Nel corso della setlist trovano spazio anche due pezzi inediti (uno dal titolo Evangelyne) mentre via via scorrono tutti i classici vecchi e nuovi di Bob: Roadbound, Estacata, Mack, Ghost town, Driven by demons, Lyza, Hunger in my soul, Chatterbox, Cardboard blues.
A un certo punto Wayne, nel ringraziare il pubblico, afferma di essersi sentito a casa nel vedere in giro tizi con le magliette di Johnny Cash e di Hank III (nel farlo indica me, che sono il più a portata d'indice) quindi ci dà notizie sul nuovo album dell'amico ("è quasi pronto") e ci informa che lui "is watchin' over you". Poi parte con Working man, brano originariamente cantato a due voci proprio con Hank e incluso sia in Damn right rebel proud del nipote di Williams sr che in By demons be driven.
Vengo di nuovo salutato con simpatia da Bob sull'attacco di All those one night stand (pezzo che adoro, e non faccio niente per nasconderlo) ma probabilmente l'highlight della serata è il richiestissimo Fuck the law, anche perchè durante la sua esecuzione, prima del refrain, Wayne ci chiede la traduzione del titolo in italiano (qualcuno suggerisce "vaffanculo alla legge") e così l'omone prosegue cantando il ritornello in italiano e filmando il nostro singalong ("per un dvd sull'european tour", dice ).
Dopo meno di un'ora e mezza di concerto la serata si conclude con Spread my ashes on the highway e Bob che sulla coda del pezzo scende tra il pubblico a seguire con noi l'esecuzione degli Outlaw Carnies. Nessuno si stupisce che a quel punto la serata finisca tutti insieme con foto, autografi e altre chiacchere. Dopo aver ottenuto i miei feticci (foto ricordo e autografo sul cd) saluto con calore the man e mi dirigo alla macchina giusto in tempo per vederlo rifiutare offerte di alcolici (in effetti in tutta la serata l'ho visto bere solo Coke). Capisco voglia tenersi in forma:il suo leg europeo, tra palchetti da fiera di paese e autorevoli stand al Wacken, conterà quarantanove date in cinquantotto giorni (dal 14 giugno all'11 agosto). Normale anche si sia un pò risparmiato in una serata così, ma nonostante questo credo che nessuno spettatore sia rimasto deluso dalla sua performance, dal suo atteggiamento o dalla sua disponibilità. Non lo sono stato certo io che ho avuto dal concerto esattamente quello che chiedevo e forse anche un pò di più. Che siano proprio le serate meno programmate quelle che danno più soddisfazione?
P.S. Le foto non sono granchè a causa dello strumento usato (telefonino) e delle luci sparate fisse sul pubblico...
Ehbeh, fico, fico...
RispondiEliminaAvresti dovuto esserci :)
RispondiElimina:)!
RispondiEliminaNon lo conoscevo. Sono andato a sentire qualcosa e me gusta mucho !
RispondiEliminaL'avevo intuito, ma allora siamo quasi concittadini ! Magari ci si incontra a qualche concerto, prima o poi :)
Non riesco a vedere più di uno/due concerti l'anno, ma visti i
RispondiEliminagusti in comune potrebbe accadere...
Se facciamo qualcosa di interessante all'Orablù, ti faccio sapere.Quest'anno siamo riusciti a portare alcuni dei migliori critici musicali in circolazione : Monina, Guaitamacchi e Tonti. E abbiamo organizzato anche quel bel concerto.
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