sabato 20 aprile 2013

Giorgio

Per buona parte della mia vita ho avuto la fortuna di potermi tenere lontano dai funerali. I lutti principali della mia famiglia sono infatti avvenuti quando ero piccolo e fino ai trent'anni non se n'è mai verificato uno che richiedesse la mia presenza. Negli ultimi dieci anni invece il numero di funzioni funebri alle quali ho presenziato si è moltiplicato anche per doveri "istituzionali": ho infatti assistito di sovente alle cerimonie d'addio di dipendenti o dei loro parenti come attività collaterale al mio mestiere di sindacalista.
Quella di mercoledì scorso è stata però la prima volta in cui ho assistito ad un funerale celebrato attraverso il rito ebraico. 
A lasciare i propri cari era stato infatti il papà di un caro amico la cui famiglia professa quella fede.
Abituato alle cerimonie cattoliche che, partendo da una durata minima di tre quarti d'ora ho visto protrarsi anche fino all'insostenibile orizzonte temporale dell'ora e mezza, sovente accompagnata da malori e svenimenti, in questo caso ho invece assistito ad una cerimonia semplice, intima e toccante, celebrata al cimitero ebraico dietro il Maggiore a Milano.

I presenti si sono raccolti in una sala spoglia al cui centro è stata posta la bara del caro estinto, attorno alla quale ci siamo disposti in piedi. Il rabbino ha cantato pochi versi in ebraico, lasciando poi la parola alla persona deputata a leggere l'elegia funebre. Il rabbino ha poi formulato l'ultimo, breve saluto, prima di accompagnare la salma al cimitero. 
Non conosco approfonditamente la religione ebraica e non sono cattolico. Voglio tenermi opportunamente alla larga da qualunque comparazione delle due fedi, chè non è mia intenzione offendere, nemmeno involontariamente, i credenti di una o dell'altra. 
Ho solo riflettuto sul fatto che la compostezza e la dignità alla quale ho assistito mi hanno comunicato a livello empatico il dolore dei familiari e degli amici come raramente mi era accaduto in passato. 
Ed è tutto.

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