Jeff Scott Soto bazzica il music business da una vita. Ha cantato in diversi progetti di Yngwie Malmsteen, sostituito per pochi mesi Steve Augeri nei Journey, fatto il corista per gente come Lita Ford, Stryper, Saigon Kick, cantato nei Talisman, collaborato a centinaia di progetti, inciso, a vario titolo, decine di dischi.
Dagli artisti e le band citate nella premessa risulta già chiaro quale sia il campo da gioco del navigato singer portoricano, si tratta di quel segmento rock che viaggia tra l'AOR e il cosiddetto hair metal. Generi che hanno avuto il loro splendore massimo durante gli ottanta e che sono stati spazzati via dall'esplosione del grunge, ad inizio novanta. Generi che rappresentano uno dei tanti miei guilty pleasure (splendida definizione anglosassone spesso usata dall'amico Jumbolo) in ambito musicale. Generi che oggi sopravvivono a beneficio di una manciata di appassionati, perlopiù giapponesi e del nord Europa.
Uno dei tanti, recenti, progetti in questo ambito musicale del vocalist di Portorico è rappresentato dai W.E.T. (l'acronimo, curiosamente, è formato dalle iniziali delle band nelle quali hanno suonato i componenti del gruppo: Robert Sall / Work of art; Eric Martensson / Eclipse; Jeff Soto / Talisman), combo che arriva con Rise up al secondo lavoro a quattro anni di distanza dal debutto.
L'album è una garanzia assoluta per quella nicchia di fan superstiti del sound sopra descritto che potrebbero posare la puntina su un brano a caso del disco (o premere in sicurezza il tasto random del lettore cd) riuscendo sempre a trovare pane per i loro denti, in un tripudio di refrain subdolamente assassini piazzati strategicamente quasi sempre entro i quarantacinque secondi iniziali di ogni singolo pezzo, ballate zuccherine e attitudine da posers di altri tempi. Dal mazzo delle dodici tracce estraggo comunque i due singoli inizialmente scelti a rappresentare il lavoro (Learn to live again e il lentaccio "defleppardiano" Love heals), l'ariosa opener Walk away, le trascinanti What you want e Broken wings, la ballad di rigore Still believe in us.
Nel discreto numero di persone che tenta di avere una fetta della minuscola torta del business che questo genere per nostalgici rappresenta, va sicuramente riconosciuta a Soto e soci una capacità notevole di mettere in musica tutta l'esperienza delle loro carriere, coniugando sapientemente,tra gli altri, Foreigner e Journey, i primi Bon Jovi e i Mr Big, Asia, Reo Speedwagon e Cheap Trick. Se qualcuno, leggendo questi nomi, ha una smorfia di disgusto può anche fermarsi qui. I pochi altri possono continuare, ignorando la scarsa originalità e i testi da quindicenni, e dare una chance al rock patinato dei W.E.T.
6,5/10 (F.F.O. , For Fans Only)
è veramente ammirevole il tuo sforzo per far apparire che sei uno che compra ancora i dischi
RispondiElimina:))
Ma io li compro davvero i dischi!
RispondiEliminaSolo nell'ultimo mese ne ho presi
(tutti a pochi euro) almeno una
dozzina.
Beh ecco, forse i soldi per i W.E.T.
li risparmio eh
:D