lunedì 4 marzo 2013

Bachi da Pietra, Quintale (2013)


Sono della corrente di pensiero per la quale anche la scelta del nome di una band incide in misura significativa sulle future fortune del gruppo. In questo senso il monicker Bachi da Pietra pur essendomi noto da tempo non ha mai suscitato attrazione o curiosità in me, anche a causa del fatto che pensavo si riferisse ad un gruppo di rock demenziale, genere che apprezzo poco. Sicuramente è un mio limite, non discuto. Beh, se può servire a rimediare all'approccio superficiale rispetto al lavoro di Giovanni Succi (voce, testi,musica,chitarra e basso) e Bruno Dorella (batteria, percussioni), posso dire che questa premessa è l'unica nota negativa contenuta nel post che state leggendo, visto che, per ciò che conta davvero, vale a dire l'offerta musicale, l'opera del duo mi ha invece folgorato.

Quintale, prodotto da Giulio Ragno Favero (One Dimensional man, Teatro degli Orrori, Zu) è infatti un lavoro dall'approccio molto poco italiano (citazione): ruvido, sporco, slabbrato, aspro. Un lavoro che parte in maniera devastante, attraverso un trittico di pezzi talmente anglosassoni nella produzione, che ti stupisci quando la strofa attacca con l'idioma italico. Haiti mette insieme le tensioni e i riverberi elettrici di Neil Young (di Arc/Weld o di Le Noise) e il Tom Waits più tenebroso, per giungere ad un risultato vibrante ed oscuro, che crea una tensione trattenuta pronta a deflagrare nel successivo, liberatorio, hard rock-blues di Brutti versi. Questo è un pezzo che ha tutte le caratteristiche per diventare un anthem, un inno, uno sfogo da urlare a squarciagola. Il protagonista del pezzo se la prende con qualcuno a cui a cui ha prestato del denaro e che, invece di restituirglielo, l'ha impiegato per pubblicare letteratura atroce "Il danno è doppio" si lagna Giovanni, "uno per me / uno per il mondo". Credetemi è raro sentire un pezzo italiano così in linea con le tradizioni di rock pesante europee ed americane. Lo stesso ragionamento, forse ancora più marcato, vale per Coleotteri, che si avvale di un lavoro mostruoso di Dorella alla batteria, e che, viaggiando a folle velocità sempre in ambito metal, oserei orientare dalle parti dei primi Queens of the stone age. 

Ma anche quando l'approdo è verso porti più consoni a sonorità meno esterofile, la personalità ed il songwriting dei Bachi si distingue per una sua originalità rispetto ai noti modelli, anche indie, del nostro Paese. Così è per Enigma, e così è, sopratutto, per Fessura, che cambia totalmente pelle rispetto al rock pesante della prima parte del disco e che, attraverso l'utilizzo delle allitterazioni, si fa quasi spazio tra le cose più intelligenti e poetiche della scena rap italiana (ci avrei visto bene,per dire, un featuring di Neffa o dei Cò Sang).
Detto dell'originalità della proposta, devo anche aggiungere, per onestà, che, sopratutto nel corso dei primi ascolti mi è sembrato di cogliere a tratti qualche rimando alle impostazioni vocali di Pelù o Ligabue (in particolare nella splendida Dio del suolo), ma che con l'intensificarsi degli ascolti questa sensazione ha progressivamente perso d'intensità rispetto alla compattezza e alla forza globale del lavoro, sopratutto nel momento in cui il disco torna a pestare duro come in Pensieri parole opere , il cui incipit esplicita quanto bene starebbe l'inglese sulle sonorità dei Bachi, e Paolo il tarlo che flirta col Teatro degli Orrori.

L'album ha una doppia chiosa. Quella artistica è lasciata al perfetto epilogo di Ma anche no, classico closing theme a consuntivo. A seguire, non nascosta come una ghost track ma slegata dal contesto musicale del lavoro, deputata ad affermare il punto di vista di Bruno e Giovanni, arriva la traccia numero tredici baratto@bachidapietra.com, brano acustico lo-fi nel quale i nostri mettono alla berlina il filesharing e i comportamenti di quanti scaricano e diffondono illegalmente il loro materiale. La traccia è amara e dissacrante e sicuramente pone una riflessione rispetto a certi automatismi della rete, mostrando il punto di vista degli artisti "derubati" e spiegando il danno, anche economico, subito sopratutto dai musicisti meno noti. Volendo approfondire il ragionamento, di per se giustissimo, ci sarebbe solo da contrapporre la sottovalutazione degli effetti positivi sulla visibilità di un gruppo indie che lo scambio dei files musicali rappresenta. 

Detto questo, il disco va comprato (o barattato, come suggeriscono in subordine i Bachi da Pietra) perchè lo merita, visto che, a mio avviso, nonostante sia uscito all'inizio dell'anno, si candida prepotentemente tra i  migliori del 2013. Il tutto a prescindere dalla ragione sociale che rappresenta la band.

8/10


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