lunedì 24 dicembre 2012

Francesco Guccini, L'ultima thule



Nelle ultime pagine di Portavo allora un eskimo innocente, volume del 2007 che ripercorre la vita di Francesco Guccini, attraverso una conversazione con lo stesso cantautore curata da Massimo Cotto, a precisa domanda sui progetti per un nuovo album, l'artista rispondeva che ormai faceva molta fatica a trovare l'ispirazione e che aveva pronti non più di un paio di brani. Due o tre anni dopo, intervistato in tv sui suoi progetti discografici rilasciava seraficamente la stessa identica risposta: "ho pronti due pezzi...".
Quindi se lo chiedete a me, no, non sono sorpreso dalla dichiarazione di ritiro dalle scene che ha accompagnato l'uscita de L'ultima thule. L'uomo dell'appennino tosco emiliano da tempo ha altre priorità. La lettura, lo studio, la scrittura di romanzi. Niente a che vedere con gli strombazzati annunci di addii dalle scene di gente che ha bisogno di grattare il fondo del barile di una carriera colata a picco, questo è certo.

Ecco che allora L'ultima thule prende tremendamente sul serio la vocazione testamentaria che l'autore gli ha conferito ed è aperta da due pezzi molto autobiografici costruiti sulla nostalgia struggente per l'infanzia, la giovinezza e i luoghi che l'hanno caratterizzata. Canzoni di notte n. 4 e sopratutto L'ultima volta sono, in alcuni passaggi, davvero toccanti. A seguire, curiosamente, di nuovo la scelta di presentare una stessa tematica attraverso una coppia di canzoni. Il perimetro è quello  della seconda guerra mondiale dei partigiani, dei soldati che non sono tornati dal fronte. I brani sono Su in collina (la paternità del brano è divisa tra un tradizionale emiliano e lo stesso Guccini, ma io tendo a preferire la versione rock dei Gang) e Quel giorno d'aprile. Il testamento di un pagliaccio mette invece alla berlina la società moderna, su un canone musicale che chiama in causa De Andrè e Capossela. Chiude l'opera (otto tracce in tutto, tre quarti d'ora di durata) la title track.

E' una grande passione quella che nutro per Guccini. Nonostante questo è la prima volta che ho l'occasione di parlare di un suo nuovo album, anche se due o tre suoi dischi finirebbero di sicuro nei più importanti della vita, semmai riuscissi a riprendere quella rubrica. Questo perchè l'ultimo suo lavoro che ho apprezzato è vecchio di oltre quindici anni (D'amore, di morte e di altre sciocchezze, 1996), e i successivi (Stagioni, 2000 e Ritratti 2004) li ho trovati un pò deboli. Quest'ultimo (in tutti i sensi) mi sembra invece centrato, coerente. Estremamente onesto. 
In linea dunque con la storia del maestro-insegnate.

7/10



2 commenti:

  1. proprio perché ultimo, continuo a rimandarne l'ascolto. ma davvero sono giò 15 anni da d'amore, di morte e di altre sciocchezze? occazzo!

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