lunedì 2 luglio 2012

Darkness on the edge of the sun

Richard Hawley
Standing at the sky's edge
Parlophone (2012)






E' un bel personaggio, schivo e atipico, Richard Hawley. Chitarrista di talento con un alle spalle un passato di tormenti alcolici e tossici (dal quale sostiene di essere uscito grazie all'aiuto di Jarvis Cocker e dei Pulp), dal 2000 ha cominciato la sua carriera solista pubblicando con una certa regolarità i suoi lavori che mi hanno sempre dato l'impressione di uscire un pò "a prescindere" dalle normali regole che prevedono un certo tipo di promozione e di strategie di mercato per lanciare il prodotto. I dischi di Hawley sembrano palesarsi d'incanto, una volta avrei scritto nei negozi, oggi dico in rete: nei blog e in generale nei commenti sugli spazi indipendenti.


Così mi è parso finora e così è accaduto per Standing on the sky's edge, che mi è caduto improvvisamente tra capo e collo reclamando e ottenendo tutta la mia attenzione.

In questo capitolo la classica vociona da croonering di Richard si desta irrequieta, scatenando tempeste elettriche, acide, lisergiche. L'apertura con innesti arabeggianti di She brings the sunlight è una pastorale che sfocia in un'esplosione di mille distorsioni, mentre nell'incipit della title track sembra di intravvedere i fantasmi di Jim Morrison che si agitano ancora irrequieti. I pezzi dell'album sono in tutto nove, ma con una durata media tra i cinque e i sette minuti, solo uno (The wood collier's grave) si attesta sui tre. In comune hanno tutti lunghi bridge strumentali costruiti sopra le distorsioni della chitarra elettrica, ma non pensate a classici assoli da guitar-hero, siamo più dalle parti di un'ipotetica sinfonia con riverbero.

Riprendendo ad analizzare la tracklist, il rock and roll stradaiolo di Down in the woods "spacca" in due l'album ed è perfetto per preparare l'ascoltatore alla successiva, dolcissima, Seek it, nenia pop che non avrebbe sfigurato nel repertorio delle romanticherie tipo Everyday di Buddy Holly. Rimane su coordinate analoghe la successiva Don't stare at the sun, altro pezzo nel quale l'approccio di Hawley al canto è totalmente appagante. Le conclusive Leave your body behind you e Before chiudono il cerchio soggiogate tra scoppi elettrici e calma prima della tempesta.

Ospite inatteso dei miei ascolti, Standing at the sky's edge si è dunque ritagliato uno spazio di assoluto rilievo tra gli album in rotazione, in virtù di uno stile musicale magicamente datato e di una cura complessiva dei suoni anch'essa non comune, in questi lugubri tempi di files mp3 a bassa fedeltà. Lo definirei un disco introverso ed irritabile, ma al tempo stesso dannatamente eccitante.


7,5/10

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