lunedì 28 maggio 2012

Hey Joe!

Joe Bonamassa
Driving towards the daylight
(2012)

















Nell'ambito del rock-blues, un genere che probabilmente ha detto nel corso degli anni tutto ciò che doveva dire e che dalla prematura dipartita di Steve Ray Vaughan aspetta come il messia un nuovo guitar hero totale, Joe Bonamassa (che il novello Gesù Cristo ancora non lo è) si batte come un leone per affermare la sua identità e la sua musica.
Lo fa ormai da una dozzina di anni, nove album e diversi progetti, l'ultimo dei quali lo ha portato a partecipare insieme a Glenn Hughes, Jason Bonham e Derek Sherinian al progetto hard-rock dei Black Country Communion con un disco di studio licenziato giusto qualche mese fa ed uno live ancora più recente.

Lo fa in moto perpetuo, senza fermar
si mai a darsi pacche sulle spalle, come se l'ispirazione venisse alimentata da una dinamo che ha bisogno di movimento continuo per funzionare. Continua a farlo anche con Driving towards the daylight, decima release della sua discografia e lavoro composto perlopiù da cover. Sono infatti solo tre pezzi scritti da Joe: la veloce opener Dislocated boy, il lento che riprende il nome dal titolo dell'album e Heavenly soul.


Nel campo degli omaggi, i primi in tracklist non lasciano dubbi in merito ai padri artistici del newyorkese, sfilano infatti robuste ed elettriche versioni di Stones in my passway di Robert Johnson; Who's been talking? di Howlin' Wolf e il boogie blues I got all you need di Willie Dixon.
Qualche frammento dei Black Country Communion si percepisce in Lonely town lonely street mentre lo scatenato swing che contraddistingueva New coat of paint di Tom Waits nella lettura di Bonamassa si adegua allo stile del chitarrista, diventando un mid tempo blues.C'è anche un pezzo di Buddy Miller, si tratta di Somewhere trouble don't go, il più cantereccio del lotto, mentre Too much ain't enough love, in classico stile alla B.B.King chiude degnamente il lavoro.

E' impossibile per me muovere rilievi ad uno che ha la passione e la determinazione di tramandare ai posteri in maniera così tenace il blues elettrico. Certo, Joe Bonamassa si muove entro i confini prestabiliti del genere, senza slanci innovativi, ma lo fa con consapevolezza, umiltà (o almeno così si percepisce) e contagioso entusiasmo. Può bastare.








7/10

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