martedì 28 febbraio 2012

The healer

Leonard Cohen
Old Ideas
(Columbia, 2012)













E' un sussurro sofferto ma ancora incredibilmente eccitante quello del quasi ottantenne (stiamo parlando della leva del 1934, un anno dopo quella di mio padre) Leonard Cohen. Come una brezza fresca che arriva inaspettata in una giornata torrida a provocarti pelle d'oca e (ne siamo certi) inturgidimento di capezzoli delle ascoltatrici. Il tutto con naturalezza e tanta consapevolezza della propria condizione ( I got no future / I know my days are few / The presence not that pleasant / Just a lot of things to do, da The darkness), a precisare che non siamo dalle parti del vecchietto bavoso fuori dalle scuole con la Spider rossa e foulard colorato al collo, ad adescare ragazine.

Tutt'altro. Old ideas è un disco permeato, e non potrebbe essere altrimenti, di grande spiritualità nel quale la strumentazione è di assoluto contorno rispetto al soffio di voce che Coehn riesce a metterci e alle eleganti sottolineature dei cori femminili, delle tastiere, dei fiati, dei piatti della batteria costantemente spazzolati. Sin dall'autobiografica apertura con l'intensa Going home (I love to speak with Leonard / He’s a sportsman and a shepherd / He’s a lazy bastard / Living in a suit ) Leonard rimette al loro posto tutti i suoi epigoni sia che rispondano al nome di Cave che a quello di Lanegan e compagnia bella.

Più che nel folk, siamo dalle parti del jazz intimista e d'amosfera (con qualche nobile eccezione: Banjo ha la struttura del blues e la conclusiva Different sides, la più vivace del lotto, ha le caratteristiche del brano soul) che sconfina in qualcosa che è strettamente legato alla misticità del gospel, non riesco a dare una definizione diversa ad un brano quale Come healing. L'elemento conduttore è comunque quello di una grande poetica, flash improvvisi, istantanee che smuovono sempre qualcosa nel petto, come nel caso di Anyhow ( The ending got so ugly, I even heard you say / "You never ever loved me but could you love me anyway?").



Un disco riuscito,doloroso e lenitivo al tempo stesso. Mettiamoci anche che, considerati i tempi frapposti dal cantautore canadese tra una release e l'altra (otto anni tra questo e il precedente Dear Heather), Old ideas rischia di essere il testamento artistico di Coehn e il pathos complessivo attorno all'opera è servito.

7.5/10

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