lunedì 17 ottobre 2011

Hank è morto, viva Hank!





Artisti Vari


The lost notebooks of Hank Williams (Columbia Records, Egyptian Records) 2011






Alla morte di Hank Williams, avvenuta il primo dell'anno del 1953 con modalità dissennatamente avvenneristiche (stecchito sul retro di un automobile che lo portava da una data del tour ad un'altra, in preda a polmonite, lancinanti dolori alla schiena provocati dalla patologia della spina bifida occulta di cui soffriva dalla nascita ed agli effetti derivanti da abuso di morfina e whiskey), fu trovata una cartella contenente alcuni blocknotes con appunti per una settantina di canzoni nuove. Alcune in stato avanzato di completamento, altre solo in fase embrionale. Considerato l'affetto e l'interesse che ancora oggi avvolgono la figura dell'artista country americano, la scoperta è sempre stata considerata come il ritrovamento di una vera e propria vena d'oro. C'è voluto però più di mezzo secolo perchè gli appunti venissero elaborati e diventassero musica. C'è voluto anche uno come Bob Dylan, che non ha mai nascosto il suo amore per Hank (come può testimoniare la sua partecipazione a Timeless, l'unico tributo ufficiale fin qui inciso per ricordare Williams), per prendere le redini del progetto e, analogamente a quanto fatto dai Wilco e Billy Bragg con le canzoni perdute di Woody Guthrie, dare forma all'opera.

La raccolta (dodici tracce, sotto i quaranta minuti di durata), si divide sostanzialmente in due filoni. Da una parte gli artisti che si sono calati nella parte di Hank Williams cercando di interpretare i suoi lasciti così come (verosimilmente) li avrebbe fatti lui e quelli che, invece, dalla traccia originale sono arrivati ad un risultato finale che rispondesse comunque alla propria, personale, cifra stilistica. Il risultato, in entrambi i casi, è altalenante. Il miglior pezzo della prima categoria è probabilmente quello di Alan Jackson, che apre il lavoro. You've benn lonesome too è totalmente calato nel più classico mood del compianto countryman, un lavoro dalla grande accuratezza storica da parte dell'attempato Jackson, che, lo ricordo, in America da un quarto di secolo, ad ogni concerto che fa, riempe gli stadi. La stessa certosina attenzione alla verosimiglianza storica ce la mette Jack White, con You know that i know, altro highligh del disco. Tra i brani che escono dal classico schema compositivo del maestro segnalo prioritariamente The love that faded, uno strepitoso valzer irlandese prestato alla voce dolente e ferita di Bob Dylan; How many times have you broken my heart, intensa ballata di Norah Jones, I'm so happy i found you di Lucinda Williams, You'll never again be mine di Levon Helm (potrebbe essere una outtake di Music from the big pink della Band) e il lento acustico Blue is my heart di Holly Williams, unica del numeroso clan familiare di Hank a far parte del tributo.

Il contributo degli artisti coinvolti ha coperto un orizzonte temporale di cinque anni dalla prima all'ultima canzone consegnata. Un lavoro dunque lungo e, inevitabilmente, discontinuo, disomogeneo. Un'opera per la quale si sarebbe potuto osare maggiormente in quanto a cast (ovviamente sto pensando ad Hank III, ma anche a Mike Ness) ed evitare partecipazioni poco significative come quella di Sheryl Crow. Dovendo scindere la valutazione finale: massimo dei voti all'operazione di recupero storico, qualcosa in meno al risultato nel suo complesso.

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