Un doveroso avvertimento: questo potrebbe non essere l'ultimo disco dei Black Sabbath che, con una scusa o un'altra, vi propinerò. E' già qualche settimana infatti che sono ragionevolmente in fissa con la band di Iommi e Osbourne, al punto che sto anche leggendo l'autobio del folle singer inglese.
Ma torniamo a Master of reality, al quale mi sto dedicando dopo che il debut album della band e il successivo Paranoid sono entrati a far parte della mia ipotetica lista di album da isola deserta. Ebbene, il terzo capitolo dell'oscura avventura sabbatiana prevede almeno quattro pezzoni: Sweat leaf, After forever, ma soprattutto Children of the grave e la conclusiva Into the void. Sarà anche vero, come sostengono i detrattori dell'arte di Iommi, che il chitarrista (ricordiamo che a causa di un indiente giovanile in fabbrica ha solo tre dita e mezzo della mano che usa sul manico della chitarra) ripete sempre lo stesso riff, ma, cazzo, a-v-e-r-c-e-n-e!
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