Saxon
Call to arms (Militia Guard Music, EMI, UDR), 2011
Non vengono elaborate aggressive strategie di mercato, non c'è alcun hype nè agguerriti comunicati stampa ad accompagnare le nuove uscite discografiche dei Saxon. A differenza di Iron Maiden, Motorhead e Judas Priest, loro compagni d'avventura e teste di ponte nella NWOBHM di oltre trent'anni fa,gli album del gruppo di Byford escono da almeno quattro lustri ad intervalli di due-tre anni uno dall'altro, nell'indifferenza pressochè assoluta del mercato.
La tradizione è pienamente rispettata per Call to arms, lavoro numero diciannove del combo inglese. Il disco è comparso il 23 maggio nei negozi virtuali e l'unica promozione di cui ha goduto è quella che la band si è fatta da sè, suonandolo in tour.
Onestamente però, a 'sto giro non posso parlare di superficialità dei media o di colpevole disattenzione da parte degli addetti ai lavori.
L'album è infatti dignitoso ma francamente prescindibile. Dieci i brani, più uno, quello che dà il titolo all'opera, proposto in due versioni. Il meglio è probabilmente rappresentato da Back in 79, un mid-tempo per cui è facile prevedere fortune dal vivo, vista la sua predisposizione al sing-along e all'interlocuzione con il pubblico, aspetto che da sempre Biff predilige.
Di ciò che resta salverei Call to arms, ballata in crescendo, prevedibile ma abbastanza suggestiva, When doomsday comes (tratta dalla ost del film Hybrid Theory) e l'autobiografica (ma un pò tutto il disco è in questo senso un'orgogliosa autocelebrazione) Surviving against the odds.
Al di là della mera valutazione artistica comunque, da sentimentale quale sono, non posso che espriemere gioia davanti alla testardaggine di una band che potrebbe vivere di rendita e che invece non molla di un centimetro rimettendosi sempre in gioco, così come non posso che sorridere compiaciuto quando ascolto Byff Byford che anno dopo anno cerca sempre di lanciare il cuore, pardon la voce, oltre gli ostacoli del tempo.
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