giovedì 17 febbraio 2011

I migliori della vita, 11


Prince, Sign o' the times (1987)


Qualunque artista darebbe un braccio per attraversare un periodo d'ispirazione artistica analogo a quello che ha accompagnato Prince negli anni ottanta, gli basterebbe incidere anche uno solo di quei dischi per avere la garanzia di una rendita vitalizia.
A partire da Dirty mind (1980) infatti, durante quella decade sono usciti otto album (di cui due doppi), contraddistinti da una media qualitativa spaventosa. Parliamo di roba come 1999, Purple rain, Around the world in a day, Parade. E Sign o' the times.

Ecco, Sign o' the times (LP doppio) potrebbe essere per la musica nera ciò che London Calling fu per quella bianca. Un'inarrestabile consuntivo di tutte le influenze del Principe (Jimi Hendrix, George Clinton, James Brown, il free jazz, la ballata hard rock, il pop) espresse ciascuna al suo massimo potenziale.

Sulla sola title track ci sarebbe da scrivere per giorni. Spettrale, sostenuta da una ritmica essenziale di basso-batteria, con il testo che emerge come schiuma di rifiuti industriali dalle onde del mare: "In France a skinny man died of a big disease with a little name...". Un trip incredibile, che si presta ad essere ascoltato in loop visto l'effetto circolare che crea.

La prima facciata vira poi sul funk con le scatenate Play in the sunshine e Hearthquake. Sulla seconda spiccano l'erotismo di Slow love, la ballata postfolk di Starfish and coffee e il sentimento di Forever in my life.

Sulla terza si fa festa, su quattro canzoni, tre dei cinque singoli estratti complessivamente dall'album sono piazzati qui, e il quarto non è da meno. Sfilano in sequenza U got the look, If i was your girlfriend, I could never take the place of your man. In mezzo il midtempo Strange relationship.

L'ultima side è quella più sperimentale. Apre The cross, ballata rock in crescendo, segue l'entusiasmante improvvisazione live, tra funk e jazz,di It's gonna be a beautiful night, chiude Adore.

Ascoltato oggi Sign o' the times (io l'ho appena riacquistato in cd) conserva intatto il suo splendore. Non risulta datato o too much eighties. La produzione, i suoni, gli arrangiamenti creano un tale effetto a-temporale che potrebbero essere stati incisi in qualunque momento, dai settanta ad oggi. Le liriche sono sempre "sul pezzo" tra passione, denuncia sociale e divertimento. Il falsetto di Prince è semplicemente sublime.

Evergreen è poco. Everblack mi sembra più consono.

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