Non inganni la locandina da commedia all'italiana, Questione di cuore è sì un film che offre momenti di leggerezza (soprattutto nella prima parte) ma la sua mission primaria è quella del dramma esistenziale, svolto attraverso la rappresentazione di due personaggi agli antipodi, Angelo (Rossi Stuart) e Alberto (Albanese), entrambi costretti da un infarto (è proprio nella terapia intensiva dell'ospedale che si conoscono) a misurarsi con l'eventualità di non sopravvivere, e quindi a fare prematuramente il punto sulle proprie esistenze.
Alberto nella vita scrive soggetti per il cinema (una delle scene più divertenti è quella in cui Verdone, Sorrentino, la Sandrelli, Virzì e Lucchetti, interpretando se stessi, lo vanno a trovare in ospedale e Verdone si cimenta nell'ipocondriaco che dicono sia anche nella vita) ed è in crisi creativa ed affettiva (le cose con Carla, la sua fidanzata, vanno male). E' uno che ha un grande talento letterario ed una feroce intelligenza che lo porta ad essere nichilista, diretto, saccente, perentorio. E profondamente infelice.
Angelo, al contrario, ha un'attività di officina per auto d'epoca che va bene, è sposato con due figli e un terzo in arrivo. Bonario, sereno, soddisfatto, orgoglioso della sua famiglia e della posizione che è riuscito a raggiungere con il lavoro.
Lo stesso drammatico contrattempo (un grave attacco di cuore), offrirà ad uno di loro la possibilità di una nuova partenza e all'altro un'imboscata letale.
Sarà pure che un soggetto così ha gioco facile nell'intercettare le corde più intime e sensibili del pubblico, però devo confessare che questo film della Archibugi mi ha emozionato profondamente, arrivando a più riprese a commuovermi. Avrà contribuito l'identificazione con i personaggi, entrambi poco più che quarantenni?
E a proposito di personaggi, i due attori protagonisti sono fantastici, perfettamente nella parte. Kim Rossi Stuart è pallido con le occhiaie, emanciato, debole, si muove come se camminasse sott'acqua e parla sottovoce, a fatica. Antonio Albanese è straordinario nel rappresentare l'alternanza dei momenti di enfasi contagiosa a quelli di inconsolabile depressione, caratteristici del suo personaggio.
Certo, la pellicola non è esente da imperfezioni, rappresentate un pò dai luoghi comuni (eddai cazzo, l'infermiera - una brava Chiara Noschese - che la dà via facile potevate risparmiarcela) a temi sociali accennati ma lasciati lì (le tensioni razziali nella periferia romana), al cameo di un Paolo Villaggio impresentabile (e lo dico io che lo apprezzo davvero tanto)ad una rappresentazione di una romanità un pò da cartolina. Il saldo finale resta comunque ampiamente positivo, con rilevanti picchi emotivi.
Tenete i kleenex a portata di mano.
Nessun commento:
Posta un commento