venerdì 21 maggio 2010

Anni di piombo


Il sangue è randagio, nuovo libro di Ellroy, è l'ultima parte di una trilogia iniziata nel 1995 con l'imperdibile American Tabloid e continuato nel 2001 con Sei pezzi da mille. Ognuno di questi libri, volendo, si può leggere anche da solo, ma personalmente, in considerazione dell'orizzonte temporale che divide le uscite e data la complessa ragnatela tessuta dal Ellroy, prima di procedere con il capitolo più recente rileggo sempre ("random" o in stile readest digest) il precedente.

Eccomi quindi a riprendere in mano Sei pezzi da mille, opera molto criticata e forse prima occasione in cui il fronte compatto degli estimatori del genio americano ha cominciato a incrinarsi. Anch'io, pur aspettandomi una flessione fisiologica, dopo quel capolavoro della letteratura moderna che è stato American Tabloid, ero rimasto deluso. Quello che non mi era piaciuto era l'abnorme quantità di spunti e di elementi contenuti in ogni singola pagina, e poi, certo, l'inasprimento dello stile di scrittura, l'eccessiva contrazione dei periodi, lo stupro perpetrato ai danni della sintassi. Copio un passaggio del libro, giusto per rendere l'idea dello stile usato dall'americano per le quasi 800 pagine di narrazione:

Più:
Arrivi di truppe. Movimenti di truppe. Morti.
Più:
Incursioni aeree. Incursioni terrestri. Resistenza.
Resistenza in Vietnam. Resistenza in America. Resistenza nel resto del mondo.
La guerra era PIU'. Gli affari erano MENO. Wayne lo sapeva.
Meno:
Estensione. Incrementi dei profitti. Potenziale.
La skuadra condivideva il laboratorio. Il Can Lao l'aveva cooptato. Perchè farlo?
Il Can Lao esportava in Europa. La skuadra esportava a Vegas. Notare la dicotomia.
La skuadra guadagnava bene. Il Can Lao guadagnava alla grande. Notare la discrepanza. La guerra era la definizione di PIU'. Gli affari erano la definizione di MENO. Notare l'incongruenza.

La rilettura ad anni di distanza ha cambiato il mio punto di vista, facendomi apprezzare questa scrittura anfetaminica, ipnotica, ossessiva, ripetitiva come un blues di John Lee Hooker. James Ellroy è quasi impazzito mentre scriveva questo libro, e i lettori vengono trascinati nella medesima spirale di follia nella quale ha rischiato lui stesso di precipitare.
Dal punto di vista della storia, gli elementi che contraddistinguono il racconto sono quelli classici a cui il narratore ci ha abituato. Sei pezzi da mille si apre con le strategie dell'F.B.I. per eliminare (fisicamente o nella credibilità) i testimoni dell'omicidio Kennedy, poi le attenzioni di Hoover si spostano sul fratello di John, Robert e su Martin Luther King e sui piani per toglierli di mezzo. Sullo sfondo, la guerra in Vietnam, il commercio di droga dal paese asiatico, la mafia, Las Vegas e Howard Hughes.

Oltre ai personaggi sopravvissuti ad American Tabloid, Ellroy ne inserisce di nuovi, complessi e sfaccettati come tutte le sue creature. Sugli altri, Teadrow padre e figlio e Dwight Holly. Tutti agiscono contemporaneamente su più livelli. Quando va bene fanno il doppio gioco, ma spesso si spingono anche oltre. Qualcuno, pur avendo sulle mani il sangue di molte persone, è animato da valori che lo portano a prendere decisioni drammatiche e coraggiose quando questi vengono traditi.
Ellroy racconta infine come vengano adescati, condizionati mentalmente, addestrati e indotti ad uccidere da parte di agenti dell'F.B.I. , Jimmy Ray, attentatore di MLK e Shiran Shiran, assassino di Robert Kennedy.

Dietro a tutto c'è lui, il Grande Manovratore, J.Edgar Hoover, capo del Bureau per trent'anni, durante i quali ha spiato e intercettato praticamente ogni essere umano che destasse la sua attenzione, con particolare accanimento verso attivisti neri, comunisti o politici democratici. E' lui l'anima nera di questa trilogia, la vera ossessione di James Ellroy. E' lui che rappresenta la coscienza sporca degli USA. E lui che porta a dire allo scrittore che l'america non è mai stata innocente.

Nessun commento:

Posta un commento