venerdì 14 agosto 2009

Boom chicka dance?


Dopo The King, The Man in Black. Non c'è troppo da stupirsi se i discografici americani abbiano pensato di tirare fuori qualche altro dollaro dai diritti delle canzoni di Johnny Cash, dopo il successo commerciale della medesima operazione fatta con Elvis Presley.

Premetto che, seppur dinosauriaco, non sono un integralista assoluto del suono originale. Non ho preconcetti, giudico il risultato finale. Anzi, per dirla tutta, molto spesso, ascoltando pezzi lontanissimi dalla cultura hip hop, presto attenzione ad un giro di chitarra, di basso o di banjo (???) e penso che, con un pò di apertura mentale in più, si potrebbero campionare con ottimi risultati. E molto spesso ho pensato che l'epico boom chicka boom di Johnny Cash potesse fare faville in mano ad un buon manipolatore di suoni.

Inoltre, se vogliamo, anche dal punto di vista concettuale, Johnny Cash è stato per molti versi un autentico precursore di quell'attitudine che, convogliata nel rap, ha dato origine a quel genere, d'incontro tra realtà e finzione, che risponde al nome di gangstarap. Era o non era l'uomo in nero a cantare "I shot a man in Reno, Just to watch him die" in una delle sue prime canzoni? Cosa ci può essere di più gangsta?!? Folsom prison blues, era solo la prima di una serie di Murder songs, una corposa lista di titoli da far invidia ancora oggi ai vari 50 cents che ci frantumano le palle con le loro presunte gesta criminali.

Il disco. Okay, parlo del disco.
I walk the line, forse la canzone manifesto di Cash, apre la raccolta. Non si tratta esattamente di un remix, ma di un rap sulle note del brano dell'uomo in nero. Ci rima sopra nientepopodimenoche Snoop Dogg, con il cantato originale che è filtrato in modo da dare l'impressione che arrivi direttamente dall'oltretomba.

I remix più riusciti sono a mio avviso, quelli di Leave that junk alone, fatto dagli Alabama 3 (davvero bravi, riescono ad imprimere il loro sound, impossibile non pensare al brano dei titoli di testa dei Soprano, Wake up this morning) Country boy di Sonny J e Doin' my time (The Heavy Remix).

Per Folsom Prison Blues invece io avrei osato di più. L'arpeggio iniziale l'avrei dilatato, creando un vero e proprio loop. Tale Pete Rock invece è troppo ossequioso, lavora un pò sugli strumenti, rallenta il cantato, ma per il resto il brano resta quello. Peccato, un'occasione sprecata.
Buone Straight A's in love, Sugartime e la conclusiva I heard that lonesome whistle blow.

In conclusione, Johnny Cash Remixed si rivela un'operazione anche divertente, seppur solo a tratti riuscita. Stupisce francamente l'assenza di un pezzo come Ring of fire, che avrebbe fatto faville in un contesto del genere. In linea di massima i produttori hanno scelto stranamente diversi brani poco noti, non si sa se per una questione di diritti o per cercare di emulare il successo planetario di A little bit conversation, traccia sconosciuta di Presley, divenuta il suo più grande successo moderno, grazie al noto remix.

Alla fine l'impressione è che gli autori abbiano cercato di non irritare troppo i fans storici dell'artista, e al contempo di strizzare l'occhio al popolo di MTV e delle dance-floor. Come capita spesso, quando si cerca di arruffianarsi due sensibilità musicali agli estremi, si toppa da ambo le parti. Ecco, in buona sostanza, l'impressione che lascia questa operazione, un pò è questa.

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