lunedì 4 maggio 2009

La lotta continua







Prologo:
C’è qualcosa di dannatamente sbagliato e allo stesso tempo perfettamente armonioso nella presenza dei bambini ai concerti rock. Guardando a tutte le sacre liturgie della fede del sex and drug and rnr centrano come il cavolo a merenda, ma nelle occasioni in cui mi è capitato di averli intorno, non li ho trovati così dissonanti dal contesto. Certo, non è ben chiaro se siano felici di assecondare la scelta dei loro genitori o se gli pesano tutti quei decibel che penetrano come lama rovente i loro timpani di burro. Però è bello vederli correre liberi di qua e di la, giocare a palla, piangere, ridere, sedere concentrati a fissare i musicisti o le reazioni del loro papà che a casa magari sono ingessati e invece qui perdono i freni inibitori.

Alassio (SV) è una cittadina fottutamente borghese. Gente coi soldi, vestiti firmati, macchine costose. Non spendo in una vita le cifre che qui usano per comprarsi tuta e scarpe da ginnastica per portare bambini e chiuhaua al parco. Non so davvero come possa esserci ad Alassio un circolo ARCI attivo e interessante come è il Brixton. Qui, dove domina da anni la destra e dove hanno già ribattezzato il 25 aprile “festa della libertà” e non della Liberazione d’Italia, i ragazzi del Brixton ogni anno organizzano la celebrazione con esibizioni live di gruppi schierati. Ho notato che l’anno scorso i concerti si tenevano nei giardini pubblici di fronte al comune, vicino al famoso muretto, praticamente in centro città. Probabilmente tutti quei pugni alzati e quegli slogan disturbavano le moderne coscienze di residenti e turisti, e perciò stavolta la giunta non si è fatta fregare e ha spostato i concerti nel più tranquillo (e isolato) Parco San Rocco, su in collina.

Quest’anno il Brixton ha portato in città i Gang. Non mi sembra vero. Mi piacciono da sempre, e nonostante la loro intensissima attività live non sono mai riuscito a vederli nella loro veste elettrica. Trovarli in una località “fuori contesto” proprio nell’unica settimana dell’anno in cui ci sono io dev’essere proprio un segno del destino. In giro comunque nessun negozio ha affisso la locandina del concerto, vengo a sapere quasi per caso che dalle 14 alle 20 suoneranno diverse band con i marchigiani come headliner. Mi faccio due conti e alle 5 e mezzo del pomeriggio mi arrampico su per le stradine tortuose oltre la stazione ferroviaria alla ricerca del posto. Le note dell’inconfondibile sound dei fratelli Severini comincinciano ad arrivarmi a qualche centinaia di metri di distanza e mi conducono senza problemi al luogo. I Gang hanno già iniziato a suonare. La location è pittoresca, una specie di anfiteatro romano con un palco rialzato in cemento al quale fa da sfondo una folta vegetazione e il mare . Presenti un centinaio di persone, famiglie con bambini, qualche decina di affezionati sotto il palco, gli altri seduti sui gradoni.

Arrivo sotto il palco che si è appena concluso un pezzo, dal benvenuto di Marino Severini ai presenti, intuisco che probabilmente era il brano d’apertura del concerto.



Nonostante il contesto non incoraggi granchè una rock band a fare casino, Marino mi sembra in forma e volenteroso e sciorina una dopo l’altra le canzoni dell’invidiabile repertorio della band . Tra un brano e l’altro dialoga con il pubblico, la ricorrenza è importante e non si fa pregare a dire la sua riguardo al valore della resistenza e della costituzione. Parlando di partigiani e fascisti introduce La pianura dei sette fratelli, 4 maggio 44, e Dante Di Nanni (degli Stormy Six) scritte per ricordare alcuni dei tanti massacri di civili e partigiani perpetrati dalle squadracce fasciste, con o senza l’ausilio dei nazisti. Spero di non essere stato l’unico a commuoversi durante l’esecuzione di queste struggenti e dolorose ballate.

Durante la fase centrale dello spettacolo (tra le altre Le radici e le ali, Banditi nel tempo, Sesto San Givanni, Paz) mi siedo un po’ sulle gradinate, mi fumo una sigaretta e osservo i (non più) giovani fratelli Severini. Li trovo fieri e al tempo stesso disincantati, orgogliosi di essere minoranza nel paese, a volte un po’ retorici, ma mai banali. Penso a come rappresentino fedelmente lo sbandamento di noi ex qualcosa in questa sinistra italiana disastrata.

Superata l’ora e mezza di concerto torno sotto il palco, voglio godermi il gran finale. I Gang non mi deludono: Kowalski, Comandante, La lotta continua e I fought the law dei Clash vedono addirittura accendersi dei piccoli capannelli in cui si tenga un tranquillissimo pogo, tutti stanno bene, larghi sorrisi e cori felici di rimando alla musica della band.

I Gang alla fine hanno suonato due ore abbondanti, un vero concerto quindi, non un’esibizione controvoglia, quasi per dovere, come in altre ricorrenze simili mi era capitato di vedere. Dopo tanti anni di isolamento, disavventure, anche drammi, la band c’è, ed è ancora in salute.

Epilogo: con atteggiamento poco da rockstar e più da padre premuroso, Marino si compiace della presenza dei bambini che corrono davanti al palco, e , come farebbe chiunque di noi, chiede ai loro genitori di passargli il testimone della storia, di cosa successe negli anni del nazifascismo e del perché il 25 aprile è una festa di liberazione dall’oppressore, non uno spot elettorale.

3 commenti:

  1. Dovresti applicarti nei racconti come nelle recensioni

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  2. io li amo di un amore tenero. adoro la loro ingenua perseveranza, la grinta anacronistica, la voglia di essere se stessi nonostante i tempi incombano.

    Bandito senza tempo, elettrica e rallentata dal vivo vale semrpe il biglietto.

    il mio primo concerto loro coincise con l'incontro facia a faccia, a tavola proprio. feci domande a Marino su qualche pezzo, ricordo che mi alzai per una birra (era in un pub...) e lui mi indicò durante un pezzo. per la precisione sul verso

    tutti erano in fila
    tutti a cambiar canale
    tutti tranne uno:
    Dario Fo.

    mi scorrono i brividi scrivendo.

    mi scorrono i brividi pensando a quando acquistai Storie d'Italia in cassettina. andavo a scuola col walkman e Tangentopoli ci faceva ben sperare.
    Mau

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