Mi sembrava un buon segno, quello di dover intervenire dopo un'ottima orchestrina jazz che sciorinava classici sostenuta dall'entusiasmo della gente.
L'organizzatore mi si era avvicinato per dirmi che avrei parlato dopo il brano che il combo stava per iniziare. Parte una versione strumentale di Georgia on my mind, mi rileggo per la centesima volta il testo dell'intervento. Ho adosso la tensione giusta.
Il presidio della CGIL in piazza San Carlo era iniziato poco dopo le tre, come spesso avviene in queste occasioni, la musica alternata ai comizi.
Erano previsti una dozzina di interventi, il mio era il sesto in programma.
La parte musicale era iniziata con una giovane cantante padovana "scoperta da Cristina Donà", seguita da alcune formazioni di musica classica. Ed infine la Jambalaya band, alla quale era toccato lo spazio più ampio e il successo più netto.
Il brano stava per finire, mi schiarivo la voce, un tizio si avvicina all'organizzatore e gli dice qualcosa, lui si gira e mi guarda. Poi si avvicina e mi fa: - mi spiace, dobbiamo tagliare tutti gli interventi dei delegati, perchè anticipiamo il discorso conclusivo del tizio della segreteria nazionale . -
Io gli faccio, ok, no problem, ma intanto mi affloscio.
Il discorso del nazionale funziona alla grande, tocca tutti i temi di questi giorni con l'enfasi e la retorica giusti per queste occasioni.
Deluso, saluto tutti i miei "sostenitori" e me ne vado a casa.
Mi riprenderò solo il giorno dopo, però alla grande, in val seriana, al concerto di Hayes Carll.
metto qui il testo del mio intervento,
RispondiEliminaper non appesantire il post.
perdonate un pò di populismo, mi hanno
spiegato che in queste occasioni
è necessario.
"Come tutti sapete, stanotte con la firma delle associazioni dei piloti, si è conclusa una parte della storia di Alitalia.
A quanti chiedono spiegazioni sul comportamento della Filt, e della CGIL, nella vertenza Alitalia verrebbe molto semplicemente da rispondere che il sindacato deve fare il sindacato.
Sempre e comunque.
Ma ancor di più in situazioni in cui gli interessi in gioco sono molti e avversi a quelli dei lavoratori.
Qualcuno ha provato a contare gli ultimatum, diretti o indiretti, formulati in pochi giorni da parte del governo, di singoli ministri, della cai, del commissario, all’indirizzo prima di tutti i sindacati e, dopo la condivisione dell’accordo quadro del 14 settembre, alla sola Cgil.
Siamo arrivati ad almeno 15 ultimatum.
Più di uno al giorno!
E mentre lanciavano ultimatum si dovevano trovare risposte ai problemi complessi di Alitalia ed Air One e dare tutele fondamentali al lavoro.
Ebbene, in questo clima la CGIL ha svolto comunque il suo ruolo, mirato a condizionare il tavolo, entrando sempre nel merito delle questioni, e ponendo un problema concreto e non strumentale, di rappresentanza e rappresentatività, con l’obiettivo di raggiungere un accordo equilibrato ma che doveva poggiare sul consenso dei lavoratori coinvolti.
Questo comportamento, in un clima di adesione di altre sigle sindacali alla piattaforma del governo e della cai, è diventato il vero ostacolo al possibile accordo.
Da mesi si ritiene il consenso della Cgil supefluo ed inutile, tranne che nella vicenda Alitalia, dove la nostra opinione è diventata vincolante per impedire il fallimento.
Come se la complessa storia di Alitalia fosse riassumibile in poche ore di trattative e non fosse il frutto di vent’anni di occasioni commerciali mancate, di crisi strutturali, di ricapitalizzazioni bruciate, di prestiti ponte, di continui cambi dei vertici con, ogni volta, stravolgimenti dei piani industriali approntati dai predecessori, di incapacità di reggere lo sviluppo del settore aereo.
Ma quella di Alitalia è anche una storia di clientele politiche ed anche di sottovalutazione da parte di tutti di quanto avveniva nel settore del trasporto aereo in Europa.
Dovevamo affrontare con più coraggio, nei tempi e nelle forme dovute, una crisi che poteva trovare soluzione solo con alleanze internazionali, per non trovarci, come accade oggi, a cercare solo di impedire il fallimento e le drammatiche conseguente che avrebbe sul paese e sul lavoro.
Dopo la rottura a marzo della trattativa con Air France, ed il prestito ponte di 300 mln di euro, era chiaro che una crisi senza precedenti e senza confronti, sarebbe ancor di più diventata una partita politica.
Gli accordi con Cai hanno definito il piano industriale, la dimensione dell’impresa ed il traffico che gestirà, il numero degli occupati, le società che si formeranno, la tutela degli ammortizzatori sociali.
Non è vero che l’accordo del 25, voluto fortemente dalla Cgil, abbia confermato quello del 14 o solo chiarito aspetti secondari.
Salario, regole del CCNL, precariato, hanno trovato soluzioni diverse e con più tutele.
I capitani coraggiosi non solo volevano comprare il meglio di Alitalia a pochi denari, ma volevano scrivere un contratto di lavoro che era senza paragoni nel paese e creare un precedente per altre situazioni di crisi aziendali.
Di fronte ad imprenditori che, per rischiare il meno possibile, chiedono un nuovo monopolio e scaricano i debiti sullo stato, ci sono lavoratori con stipendi che non sono né quelli dei piloti, né quelli apparsi sulla stampa. Ci sono 3500 precari di cui solo noi ci siamo ricordati.
Non tutti i problemi sono risolti e molti nei prossimi mesi emergeranno. Vedremo se il nuovo management sarà in grado di svolgere il compito che ha. Vedremo se la nuova compagnia avrà la forza di costruire un futuro, vedremo quale sarà l’alleanza dentro la quale si collocherà.
Vedremo quali saranno le conseguenze sul settore e sugli aeroporti. A minore attività avremo minore occupazione, non solo dentro Alitalia, ma in tutto l’indotto. Il taglio dei voli e l’integrazione tra Alitalia ed Air One produrranno effetti su tutte le attività collegate e sull’occupazione che andrà tutelata con specifici ammortizzatori perché il settore, tolta Alitalia, ha solo accesso alla cassa integrazione in deroga.
Alla scelta sbagliata di tagliare i voli da Malpensa, che come è stato dimostrato non era la causa della crisi di Alitalia, non si può però aggiungere il taglio dei voli di Linate.
La vicenda Alitalia è comunque tutt’altro che chiusa e servirà tutta la nostra forza per gestire una fase che non si è esaurita con gli attuali accordi.
Alitalia è però l’esempio di quanto può accadere in molti settori ed imprese dei trasporti nel nostro paese e particolarmente in quelle a capitale pubblico.
La crisi dei trasporti è ormai strutturale.
La Filt non è, da anni, il sindacato di settori e lavoratori protetti, ma una categoria che sta dentro le politiche della confederazione e che prova a dare tutele ai settori in crisi.
Oggi siamo presenti in questa piazza anche per portare la nostra iniziativa contro le politiche e la cultura razzista del governo verso i cittadini colpevoli solo di non essere italiani.
Da alcune settimane con un camper con i loghi della Filt e della Cgil portiamo la nostra iniziativa in tutti i centri logistici e merci della provincia di Milano e della nostra regione.
In quelle realtà scopriamo lavoro non solo irregolare, ma svolto da cittadini stranieri senza rispetto di nessuna regola! una vergogna per un paese civile. Lavoro nero in mano a nuovi caporali nella civile Milano mentre l’esercito finge di occuparsi di criminalità.
La CGIL, proprio come ha fatto nella vicenda Alitalia, deve conservare la sua autonomia, che è la garanzia e la forza per continuare a rappresentare gli interessi dell’insieme dei lavoratori all’interno dell’interesse del paese così come la nostra storia testimonia."