Ho un mio rito per i dischi che ritengo speciali. E’ un tentativo di tornare a quella magia, all’innocenza, così ben descritta da Ale nel suo topico sui Metallica, che provavamo da ragazzi ogni volta che le prime note di un disco nuovo uscivano dalle casse dello stereo.
Faccio così: aspetto religiosamente l’uscita dell’album senza farmi irretire dalle sirene del file sharing. Aspetto di essere solo (il che adesso vuol dire tarda serata o notte) e mi metto lì, in cuffia, libricino dei testi in mano, a tentare di tornare indietro nel tempo.
Anche mr Springsteen ha un suo rito. Molto più remunerativo del mio, direi. Ogni tanto, nel corso della sua carriera, si mette lì e pensa: “adesso faccio un disco commerciale”. L’ha fatto per Born in the USA, in parte per The river, ci ha provato con Human touch. Se il risultato è all’altezza, se coniuga l’ispirazione con l’orecchiabilità, la struttura musicale con liriche adeguate, non ci trovo niente di sbagliato.
Ecco, con Magic il tentativo a mio avviso fallisce per manifesta insincerità dell’operazione. Da un certo punto di vista è anche peggio di Human Touch, lì almeno Bruce tentava strade diverse, senza le E Street Band, accarezzava il soul, le ballate pop, sbagliava gli arrangiamenti a pezzi che sarebbero potuti essere magnifici (Real world) e, dal vivo quintuplicava le sue risorse per ovviare alle incertezze di taluni componenti della band.
Il primo impatto con Magic è stato sconcertante, brani come You’ll be coming down, Livin in the future, Your own worst enemy (tra l’altro messi in sequenza) sembrano davvero quanto di peggio nella discografia del jersey devil. Non c’è niente di più avvilente dell’auto plagio, del coverizzare se stessi, e canzoni come Livin in the future fanno proprio questo. Your own worst enemy poi annega nelle campionature dei violini, nella ridondanza si suoni, nella sovrapproduzione.
Springesteen ha però chance (se le è meritate negli anni, per la verità) che altri non hanno. Così, invece di riporre il disco nello scaffale, l’ho messo in alta rotazione, e scava scava, qualcosa di buono ne ho tirato fuori. Radio nowhere apre adeguatamente il disco, un buon pezzo rock, tirato e dal testo tipicamente springstiniano, che mi solletica un parallelo con World wide suicide dei PJ, anche in quel caso a molti sembrò un pezzo anonimo, per poi crescere e deflagrare in concerto.
Gypsy biker mi lascia un po’ interdetto, ha tutto per essere un buon pezzo, ma c’è qualcosa che non mi torna.Eccellenti atmosfere Royorbisoniane, sospese nella malinconia del passato per la deliziosa Girls in their summer clothes. I’ll work for your love è nella media, che invece si impenna per la title track, probabilmente lo zenith dell’album. Accompagnamento che ricorda vagamente The ghost of tom joad, testo ispirato. Si continua bene con The last to die, Devil’s arcade (altro picco) e la ghost track, Terry’s song, folk ballad classica in memoria dell’amico Terry MacGovern, scomparso da poco.
Faccio così: aspetto religiosamente l’uscita dell’album senza farmi irretire dalle sirene del file sharing. Aspetto di essere solo (il che adesso vuol dire tarda serata o notte) e mi metto lì, in cuffia, libricino dei testi in mano, a tentare di tornare indietro nel tempo.
Anche mr Springsteen ha un suo rito. Molto più remunerativo del mio, direi. Ogni tanto, nel corso della sua carriera, si mette lì e pensa: “adesso faccio un disco commerciale”. L’ha fatto per Born in the USA, in parte per The river, ci ha provato con Human touch. Se il risultato è all’altezza, se coniuga l’ispirazione con l’orecchiabilità, la struttura musicale con liriche adeguate, non ci trovo niente di sbagliato.
Ecco, con Magic il tentativo a mio avviso fallisce per manifesta insincerità dell’operazione. Da un certo punto di vista è anche peggio di Human Touch, lì almeno Bruce tentava strade diverse, senza le E Street Band, accarezzava il soul, le ballate pop, sbagliava gli arrangiamenti a pezzi che sarebbero potuti essere magnifici (Real world) e, dal vivo quintuplicava le sue risorse per ovviare alle incertezze di taluni componenti della band.
Il primo impatto con Magic è stato sconcertante, brani come You’ll be coming down, Livin in the future, Your own worst enemy (tra l’altro messi in sequenza) sembrano davvero quanto di peggio nella discografia del jersey devil. Non c’è niente di più avvilente dell’auto plagio, del coverizzare se stessi, e canzoni come Livin in the future fanno proprio questo. Your own worst enemy poi annega nelle campionature dei violini, nella ridondanza si suoni, nella sovrapproduzione.
Springesteen ha però chance (se le è meritate negli anni, per la verità) che altri non hanno. Così, invece di riporre il disco nello scaffale, l’ho messo in alta rotazione, e scava scava, qualcosa di buono ne ho tirato fuori. Radio nowhere apre adeguatamente il disco, un buon pezzo rock, tirato e dal testo tipicamente springstiniano, che mi solletica un parallelo con World wide suicide dei PJ, anche in quel caso a molti sembrò un pezzo anonimo, per poi crescere e deflagrare in concerto.
Gypsy biker mi lascia un po’ interdetto, ha tutto per essere un buon pezzo, ma c’è qualcosa che non mi torna.Eccellenti atmosfere Royorbisoniane, sospese nella malinconia del passato per la deliziosa Girls in their summer clothes. I’ll work for your love è nella media, che invece si impenna per la title track, probabilmente lo zenith dell’album. Accompagnamento che ricorda vagamente The ghost of tom joad, testo ispirato. Si continua bene con The last to die, Devil’s arcade (altro picco) e la ghost track, Terry’s song, folk ballad classica in memoria dell’amico Terry MacGovern, scomparso da poco.
Due pezzi di valore assoluto dunque, quattro sopra la media, qualche riempitivo e il resto potenziali B-sides.
Perché Bruce Springsteen, fino a poco tempo fa signor precisino, mister per ogni disco incido almeno cinquanta pezzi e poi ne uso dodici, ha licenziato un disco così poco "onesto"?
A mio avviso centra lo stato di salute della E Street Band. Per fortuna ci hanno risparmiato almeno lo slogan del farewell tour, ma a conti fatti, con Clarence Clemmons sessantacinquenne e gli altri che lo seguono a ruota, questo potrebbe davvero essere l’ultimo tour della band. Giusto così, meglio fermarsi prima di diventare parodia.
A mio avviso centra lo stato di salute della E Street Band. Per fortuna ci hanno risparmiato almeno lo slogan del farewell tour, ma a conti fatti, con Clarence Clemmons sessantacinquenne e gli altri che lo seguono a ruota, questo potrebbe davvero essere l’ultimo tour della band. Giusto così, meglio fermarsi prima di diventare parodia.
Lui, il capo, deve averlo capito e ha forzato i tempi, cercando di ricreare quel sound (direi congelato tra The River e Born in the USA), con pezzi d’impatto che funzioneranno bene dal vivo, ma che davvero lasciano l’amaro in bocca.
Ormai, nettamente in controtendenza con il passato, Bruce dà il meglio di se senza la band, libero da legami con il passato, svincolato da schemi e aspettative. Credo che Devils and dust (disco e tour) e le Seeger Sessions l’abbiano ampiamente dimostrato.
E’ ora di mettere in pensione i ragazzi, lasciare Nils alla sua attività solista, Max ai suoi spettacoli televisivi, Steven ai Soprano e al suo programma radiofonico, Clarence ai suoi dischi soul. Questo tour potrebbe essere l’ultima occasione per un lungo, dignitoso addio, lo capiranno?
Ormai, nettamente in controtendenza con il passato, Bruce dà il meglio di se senza la band, libero da legami con il passato, svincolato da schemi e aspettative. Credo che Devils and dust (disco e tour) e le Seeger Sessions l’abbiano ampiamente dimostrato.
E’ ora di mettere in pensione i ragazzi, lasciare Nils alla sua attività solista, Max ai suoi spettacoli televisivi, Steven ai Soprano e al suo programma radiofonico, Clarence ai suoi dischi soul. Questo tour potrebbe essere l’ultima occasione per un lungo, dignitoso addio, lo capiranno?
lui sta ai nostri grandi come la lasagna sta al big mac.
RispondiEliminacalvino a bukowsky o come diavolo si scrive. ci manca se non ci dà quella sicurezza, quel suo cantare le robe normali con grinta.
ci manca se non possiamo riconoscere in lui un ideale. uno che finalmente non fa il pirla, non si droga come un coglione, non si perde in cazzate.
ci somiglia o meglio... vorremmo assomigliargli.
questo alla fine è Bruce. uno che ha la famiglia con sè, uno che racconta la vita di ogni giorno.
questo disco è floscio e lui non si può salvare con la letteratura (dylan magari fa 18 strofe tutte uguali ma lo fa con letteratura cazzo) e alla fine ci si annoia.
il rock a 60 anni?
a perte gli Stones, chi? con dignità intendo, non si tiri in ballo Ozzy please....
mau
è in gamba, capirà.
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